domenica 1 dicembre 2019

#18 Madre iena

The Nightmare - Henry Fuseli 1781
Siamo sicuri che sia semplicemente il dolore per la morte della madre ad ossessionare Dedalus o piuttosto è invece l'analisi speculativa su questo dolore? Nella sua mente la madre è un fantasma inquieto o un demone affamato?

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/XF65VSqTwYg

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
In a dream, silently, she had come to him, her wasted body within its loose graveclothes giving off an odour of wax and rosewood, her breath, bent over him with mute secret words, a faint odour of wetted ashes.
Her glazing eyes, staring out of death, to shake and bend my soul. On me alone. The ghostcandle to light her agony. Ghostly light on the tortured face. Her hoarse loud breath rattling in horror, while all prayed on their knees. Her eyes on me to strike me down. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Ghoul! Chewer of corpses!
No, mother. Let me be and let me live.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
In un sogno, silenziosamente, era venuta a lui, il corpo consumato nel molle sudario spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l’alito, china su di lui con mute segrete parole, un lieve odore di ceneri bagnate.
I suoi occhi invetrati, fissi da oltre la morte, per scuotere e piegare la mia anima. Su me solo. La candela fantasma a illuminare la sua agonia. Luce spettrale sul viso tormentato. Il forte respiro rauco rantolante d’orrore, mentre tutti pregavano in ginocchio. I suoi occhi su di me per abbattermi. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Lemure! Masticatore di cadaveri!
No, mamma! Lasciami stare e lasciami vivere.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Gli era giunta in sogno, silenziosa, il corpo magro e spossato nell’ampia veste funebre esalava un odore di cera e legno di rosa, il respiro si chinava su di lui con parole mute e segrete, un odore lieve di ceneri bagnate.
I suoi occhi di vetro a scrutare dalla morte, per scuotere e piegare la mia anima. Su di me solo. La candela spettrale a illuminarne l’agonia. Luce spettrale sul viso tormentato. Il respiro rauco e forte rantolante nell’orrore, e tutti pregavano in ginocchio. I suoi occhi su di me per farmi crollare. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Demone! Masticacadaveri.
No, madre. Lasciami stare e lasciami vivere.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
In sogno, silenziosa, era venuta a lui, il corpo consunto nel fluttuante sudario, esalando un odor di cera e legno di rosa; e l’alito mentre era china su di lui, con mute parole segrete, un fievole sentore di ceneri bagnate.
Lei e i suoi occhi vitrei, che mi lanciavano sguardi dalla morte, per scuotermi e piegare la mia anima. Puntati solo su di me. Quello spettro di candela a far luce sulla sua agonia. Luce spettrale sul viso torturato. L’ultimo suo respiro rauco e rumoroso e rantolante nell’orrore, mentre tutti pregavano in ginocchio. Lei e quei suoi occhi puntati su di me, per farmi crollare a terra. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Vampiro! Masticator di cadaveri!
No madre. Lasciami andare e lasciami vivere.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano ho citato due passi dal primo atto dell'Amleto di Shakespeare che riporto di seguito con le traduzioni di Goffredo Raponi.
Nella scena IV, il fantasma del padre avvicina Amleto per parlargli:
(Ghost beckons Hamlet)
HORATIO:
It beckons you to go away with it,
As if it some impartment did desire
To you alone.
(Lo spettro fa cenno ad Amleto di avvicinarsi
a lui)
ORAZIO: Ecco, vi accenna d’andar con lui,
come a volervi parlare da solo.
Nella scena V, il proposito di Amleto dopo che il fantasma del padre si è congedato da lui:
Now to my word;
It is 'Adieu, adieu! remember me.'
I have sworn 't.
D’ora innanzi la mia parola d’ordine
sia questa: “Addio, ricordati di me!”
L’ho giurato.

venerdì 8 novembre 2019

#17 La canzone di Fergus

W.B. Yeats (P. MacDonald 1933)
Con il ricordo della Canzone di Fergus, nella mente di Dedalus tornano ossessioni e paure, esposti con la musicalità metrica della poesia di Yeats e con quella ciclica del mare sulla costa dublinese.

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https://youtu.be/54_gSX8R_Ao

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—Don’t mope over it all day, he said. I’m inconsequent. Give up the moody brooding.
His head vanished but the drone of his descending voice boomed out of the stairhead:

And no more turn aside and brood
Upon love’s bitter mystery
For Fergus rules the brazen cars.

Woodshadows floated silently by through the morning peace from the stairhead seaward where he gazed. Inshore and farther out the mirror of water whitened, spurned by lightshod hurrying feet. White breast of the dim sea. The twining stresses, two by two. A hand plucking the harpstrings merging their twining chords. Wavewhite wedded words shimmering on the dim tide.
A cloud began to cover the sun slowly, wholly, shadowing the bay in deeper green. It lay behind him, a bowl of bitter waters. Fergus’ song: I sang it alone in the house, holding down the long dark chords. Her door was open: she wanted to hear my music. Silent with awe and pity I went to her bedside. She was crying in her wretched bed. For those words, Stephen: love’s bitter mystery.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Non mugugnarci sopra tutto il giorno, disse. Io parlo a vanvera. Desisti da codeste ruminazioni.
La testa scomparve ma il bombito della sua voce discendente emergeva rombando dalla cima delle scale:
– Non appartarti più per ruminare
Sull’amaro mistero dell’amore
Poi che Fergus governa i bronzei cocchi.
Ombre silvane attraversavano fluttuando silenziose la pace mattutina dalla cima della scala verso il mare dove egli teneva fisso lo sguardo. Sulla spiaggia e più al largo biancheggiava lo specchio d’acqua sommosso da piedi frettolosi dai leggeri calzari. Bianco seno di fosco mare. Vocaboli paralleli, a due a due. Mano che pizzica le corde dell’arpa, congiungendo gli accordi paralleli. Biancondose appaiate parole baluginanti sulla fosca marea.
Una nuvola cominciò a coprire lentamente, completamente, il sole, ombreggiando la baia di verde più fondo. Era alle sue spalle, bacino d’amare acque. La canzone di Fergus: la cantavo da solo in casa, tenendo in sordina i lunghi cupi accordi. La porta della sua camera era aperta: lei voleva sentire la mia musica. Silenzioso di sgomento e pietà mi avvicinai al suo capezzale. Piangeva nel suo letto sciagurato. Per quelle parole, Stephen: l’amaro mistero dell’amore.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Non starci a rimuginare tutto il giorno, disse. Sono incoerente, io. Piantala con quest’umore così pensieroso.
Il capo scomparve, ma il tono basso e persistente della voce discendente continuò a rombare dalla scala:

E non voltarti più per meditare
Al mistero amaro dell’amore
Ché Fergus governa i carri di bronzo.

Ombre di bosco fluttuavano accanto silenziose attraverso la pace del mattino, dalla scala fino al mare dove egli guardava. Verso la riva e più a largo si schiariva lo specchio del mare, scalciato da piedi veloci calzati leggeri. Seno bianco del mare velato. Gli accenti intrecciati, a due a due. Una mano che tocca le corde dell’arpa fondendo armonie intrecciate. Parole coniugate come onde bianche scintillanti sulla marea velata.
Una nube iniziò a coprire lentamente il sole, adombrando la baia d’un verde più scuro. Giaceva dietro di lui, ciotola d’acque amare. La canzone di Fergus: la cantavo a casa da solo, soffermandomi sui lunghi accordi oscuri. La sua porta era aperta: voleva sentire la mia musica. In silenzio tra timore e pietà andai al suo capezzale. Piangeva in quel letto squallido. Per le parole, Stephen: il mistero amaro dell’amore.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Non mugugnarci sopra per tutto il giorno, disse. Io parlo a vanvera. Dàcci un taglio con queste ruminazioni musonesche.
La testa sparí, ma il ronzio della sua voce lontanante in basso risuonò dal caposcala:
E mai piú appartato a rodersi
Sull’amaro mistero dell’amore
Fergus guida i bronzei cocchi.
Ombre silvestri silenziose sciamavano nella quiete mattinale fuor dal caposcala e verso il mare dove puntava gli occhi. Nel litoraneo spazio e piú fuori al largo, biancheggiava lo specchio d’acqua smosso da frettolosi piedi in calzari leggeri. Biànco sèno del fòsco màre. Accenti allacciati due per due. Una mano sfiora le corde d’arpa e va armonizzando accordi paralleli. Albugine di flutti in favellar di frasi che baluginano sulla scura marea.
Una nuvola prese a coprire lentamente il sole, ombreggiando la baia in un verde piú fondo. Alle sue spalle c’era una conca d’acque amare. La canzone di Fergus. La cantavo da solo a casa, tenendo in sordina quegli accordi cosí lunghi e cupi. La porta della sua camera era aperta, lei voleva sentire la musica. Muto d’impaccio e di compassione, sono andato verso il suo capezzale. Lei piangeva nel letto di disgrazia. Per quelle parole, Stephen, per quelle parole, l’amaro mistero dell’amore.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano si cita la "Canzone di Fergus", dalla poesia "Who goes with Fergus?" tratta dalla raccolta "The rose" del 1983 di William Butler Yeats:
Who will go drive with Fergus now,
And pierce the deep wood's woven shade,
And dance upon the level shore?
Young man, lift up your russet brow,
And lift your tender eyelids, maid,
And brood on hopes and fear no more. 
And no more turn aside and brood
Upon love's bitter mystery;
For Fergus rules the brazen cars,
And rules the shadows of the wood,
And the white breast of the dim sea
And all dishevelled wandering stars.
Chi andrà sul carro con Fergus,
Penetrando ora nell'ombra intessuta del profondo bosco
E danzerà lungo la riva piatta?
Giovane, solleva la tua fronte color ruggine,
Solleva le tue tenere palpebre, fanciulla,
Cova le tue speranze e non temere più.
E non distrarti più, più non pensare
Con ansia a quest'amaro mistero dell'amore
Perché Fergus domina i bronzei carri,
così come domina l'ombre della foresta
E il seno bianco dell'oscuro mare,
Le stelle scarmigliate e vagabonde.
Sempre dalla stessa raccolta di Yeats ho citato alcuni versi dalla poesia "To ireland in the Coming Times" (trad. Sanesi)
When Time began to rant and rage
The measure of her flying feet
Made Ireland's heart begin to beat;
Quando il Tempo iniziò a declamare
E ad infuriarsi, il ritmo del suo rapido
Piede risvegliò i palpiti del cuore dell'Irlanda;
Dal secondo libro dell'Odissea di Omero, ho citato questi versi di Antinoo in risposta a Telemaco (trad. Pindemonte):
O molto in arringar , ma forte poco
Nel dominar te stesso , ogni rancore
Scaccia dal petto, e, qual solevi, adopra
Da prode il dente, e i colmi nappi asciuga.
Inoltre ecco le citazioni dalla seconda scena dell'Amleto di William Shakespeare (trad. Raponi):
QUEEN GERTRUDE
Good Hamlet, cast thy nighted colour off,
 [Amleto, caro, togliti di dosso quel colore notturno,]
(...)
KING CLAUDIUS
We pray you, throw to earth
This unprevailing woe,
[Ti preghiamo perciò di gettar via questo tuo vano ed infruttuoso affanno,]
 Infine al seguente link potrete trovare lo spartito della Canzone di Fergus messa in musica da Hugo Kauder:
http://www.hugokauder.org/uploads/Two%20Song%20-%20Poems%20by%20Yeats.pdf

domenica 13 ottobre 2019

#16 L'offesa

Dolore - Van Gogh 1882
Da circa un anno Dedalus prova rancore per un'offesa ricevuta da Mulligan. Mulligan cerca di togliersi dall'imbarazzo e di giustificarsi con Dedalus. Il problema è: qual è veramente questa offesa?

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/DTgSpb_p0Ig

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—Do you remember the first day I went to your house after my mother’s death?
Buck Mulligan frowned quickly and said:
—What? Where? I can’t remember anything. I remember only ideas and sensations. Why? What happened in the name of God?
—You were making tea, Stephen said, and I went across the landing to get more hot water. Your mother and some visitor came out of the drawingroom. She asked you who was in your room.
—Yes? Buck Mulligan said. What did I say? I forget.
—You said, Stephen answered, O, it’s only Dedalus whose mother is beastly dead.
A flush which made him seem younger and more engaging rose to Buck Mulligan’s cheek.
—Did I say that? he asked. Well? What harm is that?
He shook his constraint from him nervously.
—And what is death, he asked, your mother’s or yours or my own? You saw only your mother die. I see them pop off every day in the Mater and Richmond and cut up into tripes in the dissecting room. It’s a beastly thing and nothing else. It simply doesn’t matter. You wouldn’t kneel down to pray for your mother on her deathbed when she asked you. Why? Because you have the cursed Jesuit strain in you, only it’s injected the wrong way. To me it’s all a mockery and beastly. Her cerebral lobes are not functioning. She calls the doctor Sir Peter Teazle and picks buttercups off the quilt. Humour her till it’s over. You crossed her last wish in death and yet you sulk with me because I don’t whinge like some hired mute from Lalouette’s. Absurd! I suppose I did say it. I didn’t mean to offend the memory of your mother.
He had spoken himself into boldness. Stephen, shielding the gaping wounds which the words had left in his heart, said very coldly:
—I am not thinking of the offence to my mother.
—Of what, then? Buck Mulligan asked.
—Of the offence to me, Stephen answered.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Ti ricordi il primo giorno che sono venuto a casa tua dopo la morte di mia madre?
Di colpo Buck Mulligan si accigliò e disse:
– Che cosa? Dove? Non mi ricordo di niente. Ricordo soltanto idee e sensazioni. Perché? Che cosa è successo in nome di Dio?
– Stavi facendo il tè, disse Stephen, ed attraversasti il pianerottolo per prendere un altro po’ di acqua calda. Tua madre uscì dal salottino con qualcuno ch’era venuto a trovarla. Ti domandò chi c’era in camera tua.
– E allora? disse Buck Mulligan. Che cosa ho detto? Non me ne ricordo.
– Hai detto, rispose Stephen, Oh, è soltanto Dedalus a cui è morta bestialmente la madre.
Un rossore che lo fece apparire più giovane e attraente salì alla guancia di Buck Mulligan.
– Ho detto così? domandò. Be’? che male c’è?
Si scrollò nervosamente di dosso il proprio impaccio.
– Che cos’è mai la morte, domandò, quella di tua madre o la tua o la mia? Tu non hai visto morire che tua madre. Io li vedo crepare ogni giorno al Mater o al Richmond e tagliati a lasagne in sala anatomica. È una cosa bestiale, e nient’altro. Non ha importanza, ecco tutto. Tu non hai voluto inginocchiarti a pregare per tua madre sul letto di morte quando lei te l’ha chiesto. Perché? Perché c’è in te quella maledetta vena di gesuita, solo che è iniettata a rovescio. Per me non è che una canzonatura, e bestiale. I suoi lobi cerebrali hanno smesso di funzionare. Lei chiama il dottore sir Peter Teazle e coglie ranuncoli dall’imbottita. Assecondala finché dura. Tu hai contrariato la sua ultima volontà in punto di morte e adesso mi tieni il broncio perché non metto su una mutria da piagnone presa a nolo da Lalouette. È un’assurdità. Magari l’ho anche detto. Non volevo offendere la memoria di tua madre.
Via via che parlava si era imbaldanzito. Stephen, facendo schermo alle ferite aperte nel suo cuore da quelle parole, disse molto freddamente:
– Non mi preoccupo dell’offesa fatta a mia madre.
– Di che cosa allora? domandò Buck Mulligan.
– Dell’offesa fatta a me, rispose Stephen.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Ti ricordi il primo giorno che sono venuto a casa tua dopo la morte di mia madre?
Buck Mulligan si accigliò all’istante, e poi disse:
– Che? Dove? Non ricordo niente. Ricordo solo idee e sensazioni. Perché? Che è successo, in nome di Dio?
– Stavi preparando il tè, disse Stephen, e io ho attraversato il pianerottolo alla fine della scala per prendere altra acqua bollente. Sono usciti dal salone tua madre e un qualche ospite. Lei ti ha chiesto chi c’era con te nella stanza.
– E poi? disse Buck Mulligan. Io che ho detto? L’ho dimenticato.
– Hai detto, rispose Stephen, Oh, è solo Dedalus, quello a cui la madre è morta come una bestia.
Un rossore che lo rese più giovane e amabile risalì le guance di Buck Mulligan.
– Ho detto questo? chiese. Beh? Che male c’è?
Si liberò nervosamente da quel suo disagio.
– E cosa sarà mai la morte, domandò, quella di tua madre, la tua o la mia? Tu hai visto morire soltanto tua madre. Io me li vedo crepare tutti i giorni al Mater o al Richmond, e li faccio a pezzettini nella sala autoptica. È roba da bestie e niente più. Semplicemente, non fa nessuna differenza. Non ti sei voluto inginocchiare a pregare per tua madre in punto di morte, quando era lei a chiedertelo. Perché? Perché hai in te quella maledetta vena del gesuita, solo che è iniettata al contrario. Per me è tutto buffo e bestiale. I suoi lobi cerebrali non funzionano più. Chiama il dottore Sir Peter Teazle e raccoglie bottoni d’oro dalla coperta imbottita. Accontentala finché non è finita. Le hai negato l’ultimo desiderio prima di morire e poi te la prendi con me perché non sto qui a frignare come uno di quei piagnoni a ore di Lalouette. Assurdo! L’avrò pure detto. Non avevo intenzione di offendere la memoria di tua madre.
Parlando prese coraggio. Stephen, nel proteggere le ferite aperte che quelle parole avevano lasciato nel suo cuore, disse con estrema freddezza:
– Non parlo dell’offesa a mia madre.
– Di che cosa, allora? chiese Buck Mulligan.
– Dell’offesa a me, rispose Stephen.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Ti ricordi il primo giorno che son venuto a casa tua, dopo la morte di mia madre?
Buck Mulligan si accigliò di colpo e chiese:
– Cosa? Dove? Non mi ricordo niente. Mi ricordo solo idee e sensazioni. Ma perché? Per la madonna, ma cos’è successo?
– Tu stavi preparando il tè, disse Stephen, e io sono passato dal pianerottolo per prender dell’altra acqua calda. In quel momento tua madre è uscita dal salotto assieme a qualcuno ch’era venuto a trovarla, e ti ha chiesto chi c’era nella tua camera.
– Ebbe’? fece Buck Mulligan. Io cos’ho detto? Non mi ricordo.
– Hai detto, rispose Stephen, Niente, è Dedalus, quello della madre morta come un cane.
Un rossore invase le guance di Buck Mulligan, facendolo apparir piú giovane e attraente.
– Ho detto cosí? chiese. Be’? Cosa c’è di male?
Si scrollò di dosso l’impaccio con mosse nervose.
– E cos’è la morte, disse, di tua madre, tua o mia? Tu hai visto morire solo tua mamma. Io li vedo tirar gli ultimi tutti i giorni al Mater o al Richmond Hospital, e fatti a pezzi con le trippe al vento nella sala anatomica. Come bestie, pari pari. E tutto questo non ha nessuna importanza. Tu non hai voluto inginocchiarti e pregare quando tua madre te l’ha chiesto in punto di morte. Perché? Perché hai il maledetto bacillo del gesuita, solo che te l’hanno inoculato al contrario. Per me è tutta una farsa e una cosa da bestie. I lobi cerebrali della signora non funzionano? Lei chiama il dottore cavalier Peter Teazle, e raccoglie ranuncoli sulla coperta del letto? Bene, bisogna tirarla su d’umore finché non è finita! Tu hai contrariato tua madre nell’ultima sua volontà e ora mi fai il muso perché non sono contrito come un becchino delle pompe funebri Lalouette. Assurdo! Sí, magari l’ho detto. Ma non per offendere la memoria di tua madre.
Parlando Buck s’era imbaldanzito. Come facendosi scudo contro le piaghe al vivo che quelle parole avevano aperto nel suo cuore, Stephen disse molto freddamente:
– Non sto parlando di un’offesa a mia madre.
– E di cosa, allora? chiese Buck Mulligan.
– Sto parlando di un’offesa a me, rispose Stephen.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato alcuni versi del ventiseiesimo canto del purgatorio della Divina commedia di Dante Alighieri:
   Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l'appetito,

   in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s'imbestiò ne le 'mbestiate schegge.

lunedì 23 settembre 2019

#15 L'ombelico

L'ombelico della Venere di Botticelli
L'ombelico rappresenta non solo il punto centrale dell'universo, ciò che ci tiene attaccati alla vita prima della nascita, ma anche quel legame da cui non abbiamo saputo distaccarci, il limite oltre il quale ancora oggi spesso non riusciamo a guardare.

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https://youtu.be/ErbHnpMLpO8

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Young shouts of moneyed voices in Clive Kempthorpe’s rooms. Palefaces: they hold their ribs with laughter, one clasping another, O, I shall expire! Break the news to her gently, Aubrey! I shall die! With slit ribbons of his shirt whipping the air he hops and hobbles round the table, with trousers down at heels, chased by Ades of Magdalen with the tailor’s shears. A scared calf’s face gilded with marmalade. I don’t want to be debagged! Don’t you play the giddy ox with me!
Shouts from the open window startling evening in the quadrangle. A deaf gardener, aproned, masked with Matthew Arnold’s face, pushes his mower on the sombre lawn watching narrowly the dancing motes of grasshalms.
To ourselves…new paganism…omphalos.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Giovani urla di voci danarose nella stanza di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dal ridere, sorreggendosi a vicenda. Oh, c’è da crepare! Recale la notizia con riguardo Aubrey! Qui io muoio! Con la camicia ridotta a fettucce staffilando l’aria saltabecca e brancola intorno al tavolo, i pantaloni calati alle calcagna, rincorso da Ades di Magdalen con le cesoie da sarto. Faccia di vitello sgomento dorata di marmellata d’arance. Non voglio essere messo a culo nudo! Non fate gli stupidi con me!
Dalla finestra aperta gridio che sconcerta la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, in grembiule, mascherato con la faccia di Matthew Arnold, spinge la falciatrice nel prato in ombra aguzzando le ciglia verso lo svolio dei fili d’erba.
Per noi… neopaganesimo… omphalos.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Grida giovani di voci da ricchi nelle stanze di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dalle risate, gli uni aggrappandosi agli altri, Oh, sto per morire! A lei, dillo con tatto, Aubrey! Muoio! Con i brandelli della camicia a batter l’aria, saltella e barcolla intorno al tavolo, i pantaloni calati giù fino alle caviglie, rincorso da Ade di Magdalen con le forbici da sarta. Che faccia da vitello impaurito, indorata di marmellata. Non lasciatemi in mutande! Smettetela di fare gli idioti con me!
Grida dalla finestra aperta ravvivavano le serate nel cortile quadrato. Un giardiniere sordo, il grembiule addosso, il volto la maschera di Matthew Arnold, spinge il tosaerba sul fosco prato e osserva da vicino i fili d’erba danzare.
A noi stessi... nuovo paganesimo... omphalos.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Grida di giovanetti con voci che sanno di quattrini nella camera di Clive Kempthorpe. Visi pallidi, si tengono i fianchi dal ridere, uno aggrappato all’altro. Oh, c’è da crepare! Aubrey, dàlle la notizia con garbo! Ah, morirò! Con sbrendoli sfilacciàti della camicia che svolano per l’aria, lui balzella e zompica intorno al tavolo, calzoni calati sulle scarpe, e dietro gli Ades del Magdalen College armati di forbicioni da sarto. Viso bovino sgomento indorato di marmellata. Non voglio esser messo a culo nudo! ’Sti giochi da vitelloni rinscemiti andate a farli con un altro!
Dalla finestra aperta, urli fan trasalire la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, con grembiule, maschera col volto di Matthew Arnold, spinge la sua falciatrice sul prato in ombra, sbiluciando a fatica i fruscoli dei gambi d’erba che gli ballano innanzi.
Per noi stessi… neopaganesimo… omphalos.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato parte dell'articolo di Joyce su Oscar Wilde apparso in italiano sul Piccolo di Trieste il 24.3.1909:
Qui tocchiamo il centro motore dell’arte di Wilde: il peccato. Si illuse credendosi il portatore della buona novella di un neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualità caratteristiche, le qualità (forse) della sua razza, l’arguzia, l’impulso generoso, l’intelletto asessuale al servizio di una teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l’evo d’oro e la gioia della gioventù del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche verità si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature, aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell’umile, è questa verità inerente nell’anima del cattolicesimo: che l’uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato.

lunedì 9 settembre 2019

#14 L'abbraccio

L'abbraccio dei lottatori di Sumo
(Utagawa Kuniteru 19th)
L'attrito, il dispiacere, l'invidia, la sfida, il timore, il fremito, il fastidio: tutto questo nel contatto fra le braccia di Stephen e Buck, nell'urto fra il rasoio e lo specchio.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/ky8Xefzt7Ss

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Buck Mulligan suddenly linked his arm in Stephen's and walked with him round the tower, his razor and mirror clacking in his pocket where he had thrust them.
— It's not fair to tease you like that, Kinch, is it? he said kindly. God knows you have more spirit than any of them.
Parried again. He fears the lancet of my art as I fear that of his. The cold steelpen.
— Cracked lookingglass of a servant! Tell that to the oxy chap downstairs and touch him for a guinea. He's stinking with money and thinks you're not a gentleman. His old fellow made his tin by selling jalap to Zulus or some bloody swindle or other. God, Kinch, if you and I could only work together we might do something for the island. Hellenise it.
Cranly's arm. His arm.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Improvvisamente Buck Mulligan allacciò il braccio a quello di Stephen e si mise a passeggiare con lui attorno alla torre, il rasoio e lo specchio stridenti nella tasca dove li aveva cacciati.
– Non sta bene tormentarti così, vero Kinch? disse bonariamente. Lo sa Dio che vali più di tutti loro.
Un’altra parata. Teme la lancetta della mia arte come io temo quella della sua. Il freddo acciaio della penna.
– Specchio incrinato di una serva. Diglielo a quel bue del piano di sotto e prova a cavargli una ghinea. Puzza di soldi lontano un miglio e dice che non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il gruzzolo vendendo scialappa agli Zulù o con qualche altro porco imbroglio del genere. Dio mio, Kinch, basterebbe che io e te lavorassimo insieme, potremmo far qualcosa per la nostra isola. Ellenizzarla.
Il braccio di Cranly. Il suo braccio.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Buck Mulligan si agganciò subito al braccio di Stephen per camminare con lui intorno alla torre, col rasoio e lo specchio tintinnanti in tasca.
– Non è giusto farsi prendere in giro così, Kinch, non trovi? disse gentile. Dio solo sa quanto ardore hai più di loro.
Altro attacco respinto. Teme il bisturi della mia arte almeno quanto io tema il suo. La fredda penna d’acciaio.
– Specchio incrinato di una serva. Dillo a quel bovino di Oxford al piano di sotto e spillagli una ghinea. Puzza di quattrini, e per lui sei tu a non essere un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto i soldi vendendo gialappa agli zulù o rifilando altri bidoni del genere. Dio, Kinch, se soltanto tu ed io potessimo lavorare insieme, magari faremmo qualcosa per quest’isola. Ellenizzarla.
Il braccio di Cranly. Il suo braccio.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
D’improvviso Buck Mulligan prese Stephen sottobraccio e fece con lui un giro della torre, mentre specchio e rasoio sbatacchiavano nella tasca dove se li era ficcati.
– Non è giusto punzecchiarti cosí, eh, Kinch? disse gentile. Dio sa che hai piú stoffa di tutti.
Di nuovo parato il colpo. Lui teme il bisturi della mia arte come io temo quello della sua. Il freddo acciaio della penna.
– Lo specchio sbrecciato d’una serva. Vallo a dire a quel bove dabbasso e scroccagli una ghinea. Quello puzza di pecunia lontano un miglio e pensa che tu non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il grano vendendo olio di ricino agli Zulú, o con qualche marcio bindolo del genere. Perdío, Kinch, se avessimo modo di lavorare assieme potremmo far qualcosa per quest’isola. Potremmo ellenizzarla.
Il braccio dell’amico Cranly e qui il braccio di Mulligan.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Sono stati menzionati gli scritti "Cultura e anarchia" del 1869 di Matthew Arnold e il già citato in precedenza Algernon Swinburne.

Inoltre dal "Ritratto dell'artista da giovane" di Joyce (traduz. Capodilista, Newton Compton), è stato citato il seguente passo dalla conversazione fra Dedalus e Cranly:
«Senti un po’, Cranly», disse. «Mi hai chiesto cosa farei e cosa non farei. Ti dirò cosa farò e cosa non farò. Non servirò ciò in cui non credo più, si chiami casa, patria o chiesa: e cercherò di esprimere me stesso in qualche modo di vita o di arte il più liberamente e il più compiutamente possibile, usando a mia difesa le sole armi che mi concedo di usare: il silenzio, l’esilio e l’astuzia.»
Cranly gli afferrò il braccio e lo fece voltare così da riportarlo verso il parco Leeson. Rise quasi sornione e strinse il braccio di Stephen con un affetto da fratello maggiore.
«La tua astuzia!», disse. «Tu? Mio povero poeta!»
«E mi hai fatto confessare», disse Stephen, turbato da quel contatto, «come ti ho già confessato tante altre cose, no?»
«Sì, figlio mio», disse Cranly, ancora allegro.
«Mi hai fatto confessare i miei timori. Ma ti dirò anche cos’è che non temo. Non temo di rimanere solo o di essere respinto per un altro o di lasciare quello che devo lasciare. E non ho paura di commettere un errore, anche un grande errore, un errore che duri tutta la vita e forse pure tutta l’eternità.»
Cranly, tornato serio, rallentò il passo e disse:
«Solo, completamente solo. Non hai paura di questo. Ma sai cosa significa questa parola? Non soltanto essere separato da tutti gli altri, ma non avere neanche un amico».

martedì 13 agosto 2019

#13 Lo specchio - parte II

Ritratto di George Dyer 
allo specchio
 Francis Bacon 1967

Buck Mulligan riferisce insinuazioni sulla salute mentale e fisica di Stephen Dedalus. Ma Stephen sembra essere più che altro interessato alla propria immagine riflessa nello specchio di Buck.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/kGZJlOkELQg

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—I pinched it out of the skivvy’s room, Buck Mulligan said. It does her all right. The aunt always keeps plain-looking servants for Malachi. Lead him not into temptation. And her name is Ursula.
Laughing again, he brought the mirror away from Stephen’s peering eyes.
—The rage of Caliban at not seeing his face in a mirror, he said. If Wilde were only alive to see you.
Drawing back and pointing, Stephen said with bitterness:
—It is a symbol of Irish art. The cracked looking-glass of a servant.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– L’ho pizzicato nella stanza della sguattera, disse Buck Mulligan. Per lei va benissimo. La zia tiene sempre serve brutte per Malachi. Non lo indurre in tentazione. Si chiama Orsola.
Tornato a ridere sottrasse lo specchio agli occhi scrutatori di Stephen.
– O rabbia di Calibano perché non si vede la faccia in uno specchio, disse. Ci fosse ancora Wilde a vederti!
Tirandosi indietro e puntando il dito, Stephen disse con amarezza:
– È un simbolo dell’arte irlandese. Lo specchio incrinato d’una serva.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– L’ho sgraffignato dalla camera della sguattera, disse Buck Mulligan. Le sta bene. La zia sceglie sempre servette insignificanti per Malachi. Per non indurlo in tentazione. E si chiama Ursula.
Ridendo di nuovo, tolse lo specchio agli occhi attenti di Stephen.
– La rabbia di Caliban per non riuscire a vedere la propria faccia allo specchio, disse. Se solo fosse vivo Wilde e ti vedesse.
Ritraendosi e puntando il dito, Stephen disse rancoroso:
– È un simbolo dell’arte irlandese. Lo specchio incrinato di una serva.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– L’ho fregato nella camera d’una sguattera, disse Buck Mulligan. Per lei come specchio va benissimo. Mia zia tiene sempre in casa delle serve bruttine per Malachi. Non indurlo in tentazione. Questa si chiama Ursula.
Ridendo ancora si portò via lo specchio sottraendolo agli sguardi curiosi di Stephen.
– La rabbia di Calibano a non riconoscersi nello specchio, disse. Ah, se il buon Oscar Wilde fosse ancora vivo e potesse vederti!
Tirandosi indietro e puntando il dito, Stephen dichiarò amaramente:
– Quello è un simbolo dell’arte irlandese. Lo specchio sbrecciato d’una serva.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltre citato la prefazione al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde del 1890:
The nineteenth century dislike of realism is the rage of Caliban seeing his own face in a glass. The nineteenth century dislike of romanticism is the rage of Caliban not seeing his own face in a glass.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il proprio volto riflesso nello specchio. L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto riflesso nello specchio.
Sempre di Oscar Wilde ho citato un passo da "The decay of lying" ovvero "La decadenza della menzogna" del 1889:
What do you mean by saying that life, "poor, probable, uninteresting human life," will try to reproduce the marvels of art? I can quite understand your objection to art being treated as a mirror. You think it would reduce genius to the position of a cracked looking glass. But you don't mean to say that you seriously believe that Life imitates Art, that Life in fact is the mirror, and Art the reality?
Che cosa vuoi dire affermando che la vita, “la povera, probabile, tanto poco interessante vita umana”, tenterà di riprodurre le meraviglie dell’arte? Io posso capire abbastanza la tua obiezione all’arte che viene trattata come uno specchio. Tu pensi che ridurrebbe il genio alla posizione di uno specchio rotto. Ma non intendi affermare che credi seriamente che la Vita imita l’Arte, che la Vita in definitiva è lo specchio e l’Arte la realtà?
Ed infine questi versi da "The Wasteland /  La Terra desolata" di Thomas S. Eliot del 1922:
What are the roots that clutch, what branches grow
Out of this stony rubbish? Son of man,
You cannot say, or guess, for you know only
A heap of broken images
Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d’immagini infrante

lunedì 29 luglio 2019

#12 Lo specchio - parte I


Ritratto di George Dyer allo specchio
 Francis Bacon 1968
Buck Mulligan riferisce insinuazioni sulla salute mentale e fisica di Stephen Dedalus. Ma Stephen sembra essere più che altro interessato alla propria immagine riflessa nello specchio di Buck.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/TUIeRztRzKU

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—That fellow I was with in the Ship last night, said Buck Mulligan, says you have g. p. i. He’s up in Dottyville with Conolly Norman. General paralysis of the insane.
He swept the mirror a half circle in the air to flash the tidings abroad in sunlight now radiant on the sea. His curling shaven lips laughed and the edges of his white glittering teeth. Laughter seized all his strong wellknit trunk.
—Look at yourself, he said, you dreadful bard.
Stephen bent forward and peered at the mirror held out to him, cleft by a crooked crack, hair on end. As he and others see me. Who chose this face for me? This dogsbody to rid of vermin.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Quel tale che era con me al Ship ieri sera, disse Buck, dice che tu hai la p.g.a. Lui è a Cretinopoli con Connolly Norman. Paralisi generale degli alienati!
Sventagliò a semicerchio lo specchio nell’aria per lampeggiare all’intorno le notizie nella luce del sole adesso raggiante sul mare.
Le labbra sbarbate e increspate risero, e così pure i bordi dei denti bianchi, scintillanti.
Il riso s’impadronì di tutto il suo torso forte, ben piantato.
– Guardati, disse, o tremendo bardo!
Stephen si chinò in avanti e scrutò lo specchio a lui offerto, rigato da un’obliqua incrinatura. Ritti i capelli. Come mi vedono lui e gli altri. Chi mi ha scelto questa faccia? Questo corpo d’un cane da spidocchiare.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Il tipo con cui stavo allo Ship ieri sera, disse Buck Mulligan, dice che hai la P.P. Sta a Dottyville con Connolly Norman. Paralisi progressiva.
Disegnò nell’aria con lo specchio un semicerchio come a voler spandere le notizie nella luce di quel sole ora radioso sul mare.
Le labbra rasate e increspate ridevano assieme alle punte dei suoi bianchi denti splendenti.
La risata si impossessò completamente di quel busto forte e tornito.
– Ammìrati, disse, bardo tremendo.
Stephen si chinò in avanti e scrutò nello specchio di fronte a sé, incrinato di traverso da una crepa, i capelli dritti. Come mi vedono lui e gli altri. Chi me l’ha scelta questa faccia? Questa bestia da soma da spulciare.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Il tizio che ho incontrato ieri sera allo Ship, fece Buck Mulligan, dice che tu soffri di p. t. c. Paralisi tarati di cervello. Lavora giú a Ca’ Mattolica con Conolly Norman.
Sventagliò lo specchio in aria a semicerchio, mandando lontano quell’annuncio, nel bagliore del sole ora radioso sul mare.
Le labbra curve e ben rasate ridevano insieme ai bordi dei denti, bianchi e luccicanti.
Poi lo sghignazzo prese a scuoterlo in tutto il torso, forte e ben squadrato.
– Ma guàrdati un po’, disse, bardo orripilante che non sei altro.
Stephen si chinò a guardarsi nello specchio che l’altro gli reggeva, solcato per traverso da un’incrinatura. Capelli dritti. Chi ha scelto questa faccia per me? E questa povera bestia da spidocchiare?
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltre citato una strofa della poesia di Robert Burns del 1786, "To a louse, on seeing one on a lady's bonnet at church", ovvero "Ad un pidocchio sulla cuffia di una signora in chiesa":
O wad some Pow’r the giftie gie us
To see oursels as others see us!
It wad frae monie a blunder free us
An’ foolish notion
Oh, se qualche Potenza ci facesse il dono
Di vederci come ci vedono gli altri!
Ci libererebbe da molti errori
E sciocche pretese
Infine riporto l'indirizzo di quello che era la Ship Tavern di Dublino: 5 Lower Abbey Street - North City Dublin. Su google mappe potete vederne ancora la stretta porticina rossa fra i negozi Ladbrokes e Reynods, cliccando qui.

giovedì 11 luglio 2019

#11 I vestiti di Stephen


Il figlio dell'uomo - Magritte
L'abito fa il monaco? Osserviamo i vestiti consunti di Stephen. Il loro colore lugubre. Ci parleranno di lui e della sua condizione, sotto l'occhio impietoso di Buck Mulligan.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/wFKGuuX3DAc

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—Ah, poor dogsbody, he said in a kind voice. I must give you a shirt and a few noserags. How are the secondhand breeks?
—They fit well enough, Stephen answered.
Buck Mulligan attacked the hollow beneath his underlip.
—The mockery of it, he said contentedly, secondleg they should be. God knows what poxy bowsy left them off. I have a lovely pair with a hair stripe, grey. You’ll look spiffing in them. I’m not joking, Kinch. You look damn well when you’re dressed.
—Thanks, Stephen said. I can’t wear them if they are grey.
—He can’t wear them, Buck Mulligan told his face in the mirror. Etiquette is etiquette. He kills his mother but he can’t wear grey trousers.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Ah, povero corpo d’un cane! disse con voce gentile. Ti devo dare una camicia e qualche moccichino. E che ne è delle brache di seconda mano?
– Mi vanno abbastanza bene, rispose Stephen.
Buck Mulligan attaccò l’incavo sotto il labbro inferiore.
– Che canzonatura, disse soddisfatto. Si dovrebbero chiamare di seconda gamba. Dio sa quale sifiletilico le ha smesse. Io ne ho un bel paio con un righino, grigie. Con quelle farai faville. Non sto scherzando Kinch. Fai un figurone quando ti vesti bene.
– Grazie, disse Stephen. Non le posso portare se sono grigie.
– Non le può portare, Buck Mulligan disse alla sua faccia nello specchio. L’etichetta è l’etichetta. Ammazza la madre ma non può portare pantaloni grigi.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Ah, povera bestia da soma, disse con voce gentile. Devo darti una camicia e qualche straccio per il naso. Come ti stanno quei calzoni di seconda mano?
– Abbastanza bene, rispose Stephen.
Buck Mulligan attaccò l’incavatura sotto il labbro inferiore.
– Che presa in giro, disse soddisfatto, di seconda gamba si dovrebbe dire. Dio solo sa quale lebbroso alcolizzato li avrà scartati. Ne ho un paio seri a righe, bellissimi, grigi. Sembrerai un signorino. Non scherzo, Kinch. Stai maledettamente bene quando ti vesti elegante.
– Grazie, disse Stephen. Se sono grigi non li posso indossare.
– Non li può indossare, lui, disse Buck Mulligan rivolgendosi alla propria faccia nello specchio. L’etichetta è etichetta. La madre la può pure ammazzare, ma indossare pantaloni grigi, questo no.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Ah, povera bestia che non sei altro, disse con voce gentile. Devo darti una mia camicia e qualche fazzoletto da naso. Come vanno le brache di seconda mano?
– Mi vanno abbastanza bene, rispose Stephen.
Buck Mulligan prese a radersi la fossetta sotto il labbro inferiore.
– Bisognerebbe dire di seconda gamba, no? Ah, che ridere! commentò contento. Chissà quale sifilitico menagramo li ha smessi, quei calzoni. Ne ho un bellissimo paio a righine grigie.
Farai una figura da gagà con quelli. Non scherzo, Kinch, quando ti vesti bene fai una gran figura.
– Grazie, fece Stephen, ma se sono grigi non posso metterli.
– Non può metterseli, disse Buck Mulligan rivolto allo specchio. L’etichetta va rispettata. Lui ammazza sua mamma ma non può portare calzoni grigi.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltre citato l'Amleto di Shakespeare, dall'atto I:
How is it that the clouds still hang on you?
(...)
Cast thy nighted colour off.
Perché ancora quelle nubi sulla tua fronte?
(...)
Scuoti di dosso quel colore notturno.

mercoledì 26 giugno 2019

#10 Madre mare


"Scienza e Carità" di Picasso
Il mare di Dublino rappresenta una grande dolce madre, ma non altrettanto dolce è l'incontro di Dedalus col rancoroso fantasma della madre morta.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/tEzbaUzhkCA

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Stephen, an elbow rested on the jagged granite, leaned his palm against his brow and gazed at the fraying edge of his shiny black coat-sleeve. Pain, that was not yet the pain of love, fretted his heart. Silently, in a dream she had come to him after her death, her wasted body within its loose brown graveclothes giving off an odour of wax and rosewood, her breath, that had bent upon him, mute, reproachful, a faint odour of wetted ashes. Across the threadbare cuffedge he saw the sea hailed as a great sweet mother by the wellfed voice beside him. The ring of bay and skyline held a dull green mass of liquid. A bowl of white china had stood beside her deathbed holding the green sluggish bile which she had torn up from her rotting liver by fits of loud groaning vomiting.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Stephen, con un gomito sul granito scabro, appoggiò la fronte a una mano e guardò l’orlo sfilacciato della sua manica nera lustra. Una sofferenza, che non era ancora la sofferenza amorosa, gli rodeva il cuore. Silenziosamente, in un sogno era venuta a lui dopo la morte, il corpo consunto nello sciolto sudario scuro spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l’alito che, muto, rampognante, si era chinato su di lui, un lieve odore di ceneri bagnate. Oltre il polsino sfrangiato egli vedeva il mare che la ben pasciuta voce al suo fianco salutava come grande dolce madre. L’anello della baia e dell’orizzonte conteneva una fosca massa verde di liquido. Presso il suo letto di morte posava un bacile di bianca porcellana contenente la verde bile vischiosa che con accessi di vomito altogemente ella aveva divelto al fegato in putrefazione.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Stephen, un gomito sul granito dentellato, appoggiava il palmo alla fronte e fissava l’estremità consunta di una manica del suo logoro cappotto nero. Una pena, non ancora d’amore, gli tormentava il cuore. Silenziosa, lei era venuta a visitarlo in sogno dopo la morte, il corpo consumato, nella veste funebre ampia e bruna, esalava un odore di cera e legno di rosa, il respiro, chino su di lui, muto, carico di biasimo, un odore lieve di ceneri bagnate. Oltre il polsino liso scorse il mare salutato quale grande dolce madre da quella voce ben nutrita accanto a sé. L’anello della baia e l’orizzonte contenevano una massa liquida color verde opaco. Una scodella di ceramica bianca accanto al letto di lei conteneva la bile verde e melmosa risalita dal suo fegato marcio tra il fragore di fitte di vomito e lamenti.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Stephen, un gomito sullo scabro granito, il palmo poggiato alla fronte, guardava l’orlo sfilacciato della propria manica, nera e lustra. Una pena, che non era ancora la pena amorosa, gli rodeva il cuore. Silenziosa in un sogno, essa era venuta a lui dopo la morte, il corpo consunto nel sudario scuro e svolazzante, emanando un odore di cera e legno di rosa, e un fievole sentore di ceneri bagnate nel suo alito, che s’era posato su di lui a mo’ di muto rimprovero. Ora attraverso un polsino liso Stephen vedeva il mare, che la voce ben pasciuta accanto a lui salutava come la grande dolce madre. La circonferenza della baia e dell’orizzonte avvolgeva una massa liquida d’un verde spento. Accanto al suo letto di morte era stata posta una ciotola di porcellana bianca e questa conteneva la bile verde e vischiosa che lei s’era strappata fuori dal fegato marcescente, a forza di fitte di vomito e alti gemiti.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltra citato l'evocazione dei morti dall'undicesimo libro dell'Odissea con la traduzione di Rosa Calzecchi Onesti (Einaudi):
E sopraggiunse l'anima della madre mia, morta,
la figlia del magnanimo Autòlico, Antìclea,
che viva lasciavo, andando a Ilio sacra.
Io piansi a vederla e provai pena in cuore
...
della madre l'anima vedo, della mia madre morta;
muta siede vicino al sangue, e il suo figlio
non vuole guardare, né venire a parlargli

venerdì 7 giugno 2019

#9 Mummer Kinch


Il "mummer" di Watteau
Stephen Dedalus è da poco tornato in Irlanda per la morte della madre. Ma Buck Mulligan non esprime affatto parole di conforto per il suo lutto. Al contrario: continua a colpevolizzarlo e sbeffeggiarlo.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/QSvbEQc21iw

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—Our mighty mother. Buck Mulligan said.
He turned abruptly his great searching eyes from the sea to Stephen’s face.
—The aunt thinks you killed your mother, he said. That’s why she won’t let me have anything to do with you.
—Someone killed her, Stephen said gloomily.
—You could have knelt down, damn it, Kinch, when your dying mother asked you, Buck Mulligan said. I’m hyperborean as much as you. But to think of your mother begging you with her last breath to kneel down and pray for her. And you refused. There is something sinister in you…
He broke off and lathered again lightly his farther cheek. A tolerant smile curled his lips.
—But a lovely mummer, he murmured to himself. Kinch, the loveliest mummer of them all.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– La nostra madre potente, disse Buck Mulligan.
Volse all’improvviso i penetranti occhi grigi dal mare alla faccia di Stephen.
– Secondo mia zia hai ucciso tua madre, disse. Ecco perché non vuole che ti stia vicino.
– Qualcuno l’ha uccisa, disse Stephen rabbuiato.
– Kinch, maledizione, potevi pure inginocchiarti quando te l’ha chiesto tua madre in punto di morte, disse Buck Mulligan. Sono iperboreo quanto te. Ma se penso a lei che ti implora col suo ultimo respiro di inginocchiarti e pregare. E tu non glielo concedi. C’è qualcosa di funesto in te...
Fece una pausa e ricominciò a insaponarsi con grazia l’altra guancia. Gli arricciava le labbra un sorriso di sufficienza.
– Che amabile mimo, però, mormorò tra sé. Kinch, il più amabile di tutti i mimi.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– La madre nostra possente! disse Buck Mulligan.
Girò bruscamente i grigi occhi indagatori dal mare al viso di Stephen.
– La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre, disse. Per questo non vuole che io abbia a che fare con te.
– Qualcuno l’ha uccisa, disse Stephen con mestizia.
– Ti potevi inginocchiare, Kinch, porca miseria, quando tua madre te l’ha chiesto in punto di morte, disse Buck Mulligan. Sono iperboreo quanto te. Ma pensare a tua madre che con l’ultimo respiro ti supplicava di inginocchiarti a pregare per lei. E tu hai rifiutato. C’è qualcosa di sinistro in te.
S’interruppe e si rifece una leggera insaponata sull’altra guancia. Un sorriso tollerante gli increspò le labbra.
– Ma un meraviglioso mimo! mormorò a se stesso. Kinch, il più meraviglioso dei mimi!
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– La nostra possente madre, disse Buck Mulligan.
E d’un tratto volse i grandi occhi indagatori dal mare verso il viso di Stephen.
– Mia zia pensa che hai ucciso tua madre. Per quello non vuole ch’io abbia a che fare con te.
– Qualcuno l’ha uccisa, rispose Stephen cupo.
– Kinch, quando tua madre te l’ha chiesto in punto di morte, Cristo, potevi inginocchiarti, no? fece Buck Mulligan. Io sono un iperboreo quanto te. Ma se penso che tua madre t’ha chiesto d’inginocchiarti a pregare per lei col suo ultimo respiro, e tu non hai voluto… C’è qualcosa di sinistro in te…
S’interruppe e riprese a insaponarsi l’altra guancia. Un sorriso d’indulgenza gli arricciò il labbro.
– Sí ma sei anche un bel pagliaccio, borbottò tra sé. Kinch, il piú bel pagliaccio che ci sia.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano si citano le parole 'Mighty mother', presenti in questa poesia "The place of rest" dello scrittore irlandese George Russell (1867-1935)
The Place of Rest

Unto the deep the deep heart goes,
It lays its sadness nigh the breast:
Only the Mighty Mother knows
The wounds that quiver unconfessed.

It seeks a deeper silence still;
It folds itself around with peace,
Where thoughts alike of good or ill
In quietness unfostered cease.

It feels in the unwounding vast
For comfort for its hopes and fears:
The Mighty Mother bows at last;
She listens to her children’s tears.

Where the last anguish deepens — there
The fire of beauty smites through pain:
A glory moves amid despair,
The Mother takes her child again.
Infine ho citato il Nietzsche dell'Anticristo (1895), in cui faceva riferimento agli 'iperborei' menzionati da Buck Mulligan:
Guardiamoci in faccia: siamo iperborei. Siamo ben consapevoli della diversità della nostra esistenza. “Né per terra né per mare troverai la strada che conduce agli iperborei”: già Pindaro riconosceva questo di noi. Oltre il nord, oltre il ghiaccio e la morte: la nostra vita, la nostra felicità… Abbiamo scoperto la felicità, conosciamo la via, abbiamo trovato l’uscita per interi millenni di labirinto. Chi altri l’ha trovata? Forse l’uomo moderno? “Non so che fare; sono tutto ciò che non sa che fare”, sospira l’uomo moderno… E’ di questa modernità che c’eravamo ammalati, della putrida quiete, del vile compromesso, di tutta la virtuosa sporcizia del moderno sì e no. Una simile tolleranza e langeur di cuore, che “perdona” tutto perché “comprende” tutto, è scirocco per noi. Meglio vivere in mezzo ai ghiacci che tra le virtù moderne e gli altri venti del sud!… 

giovedì 16 maggio 2019

#8 Il colore verde


Il vecchio porto di Kingstown
Cos'hanno a che fare un fazzoletto, la poesia e il mare con il colore verde? Scopriamolo ascoltando le farneticazioni di Buck Mulligan, affacciato dalla torre di Sandycove, sulla baia di Dublin

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/GnsgYdQTo8A


Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
He came over to the gunrest and, thrusting a hand into Stephen’s upper pocket, said:
—Lend us a loan of your noserag to wipe my razor.
Stephen suffered him to pull out and hold up on show by its corner a dirty crumpled handkerchief. Buck Mulligan wiped the razorblade neatly. Then, gazing over the handkerchief, he said:
—The bard’s noserag. A new art colour for our Irish poets: snotgreen. You can almost taste it, can’t you?
He mounted to the parapet again and gazed out over Dublin bay, his fair oakpale hair stirring slightly.
—God! he said quietly. Isn’t the sea what Algy calls it: a grey sweet mother? The snotgreen sea. The scrotumtightening sea. Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, the Greeks! I must teach you. You must read them in the original. Thalatta! Thalatta! She is our great sweet mother. Come and look.
Stephen stood up and went over to the parapet.
Leaning on it he looked down on the water and on the mail boat clearing the harbour mouth of Kingstown.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Si avvicinò alla piazzuola e, cacciando una mano nel taschino di Stephen, disse:
– Mollaci in prestito il tuo moccichino per asciugare il rasoio.
Stephen tollerò che tirasse fuori e tenesse in mostra per un angolo un fazzoletto sporco e gualcito. Buck Mulligan pulì diligentemente la lama. Poi, percorrendo con lo sguardo il fazzoletto, disse:
– Il moccichino del bardo! Nuovo colore pittorico per i nostri poeti irlandesi: verdemoccio. Sembra di sentirselo in bocca, vero?
Risalì sul parapetto e percorse con lo sguardo la baia di Dublino, i biondi capelli querciapallida lievemente mossi.
– Dio! disse tranquillamente. Il mare è proprio come dice Algy: una dolce madre grigia, no? Il mare verdemoccio. Il mare scrotocostrittore. Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, i Greci. Ti devo erudire. Li devi leggere nell’originale. Thalatta! Thalatta! È la nostra grande dolce madre. Vieni a vedere.
Stephen si alzò e si accostò al parapetto. Appoggiatosi abbassò lo sguardo sull’acqua e sul postale che usciva dall’imboccatura del porto di Kingstown.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Salì sulla piazzola di tiro e, infilando una mano nel taschino di Stephen, disse:
– Prestami quel tuo straccio di fazzoletto ché devo pulirmi il rasoio.
Stephen lo lasciò fare mentre questi estraeva un fazzoletto sporco e spiegazzato, e lo metteva in mostra tenendolo per un angolo. Buck Mulligan ripulì per benino la lama del rasoio. Poi, guardando il fazzoletto, disse:
– Lo straccio da naso del bardo. Un nuovo colore artistico per i nostri poeti irlandesi: verdemocciolo. Si sente quasi il sapore, no?
Montò di nuovo sul parapetto per osservare la baia di Dublino, con i capelli color quercia chiara lievemente scarmigliati.
– Dio, disse con calma. Ecco come lo chiama Algy il mare: una grande dolce madre. Il mare verdemocciolo. Mare scrotorestringente. Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, i greci. Devo insegnartelo io. Bisogna che tu li legga in originale. Thalatta! Thalatta! È la nostra grande dolce madre. Guarda qua.
Stephen si alzò in piedi per dirigersi verso il parapetto. Appoggiandosi osservò l’acqua dall’alto e la nave postale che lasciava l’imboccatura del porto di Kingstown.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Venne avanti nella piazzola e ficcò una mano nel taschino di Stephen dicendo:
– Prestami il tuo straccetto da naso, devo pulire il rasoio.
Stephen lasciò che gli tirasse fuori il fazzoletto sudicio e sgualcito, e lo tenesse per un angolo in bella mostra. Buck Mulligan pulí diligente il rasoio. Poi scrutando il fazzoletto disse:
– Il porta-moccio del bardo. Un nuovo colore artistico per i nostri poeti irlandesi: il verde caccola di naso. Dà l’impressione di sentirne il gusto in bocca, vero?
Salí di nuovo sul parapetto e lasciò spaziare lo sguardo sulla baia di Dublino, con la sua bionda chioma color quercia pallida lievemente mossa dalla brezza.
– Dio, disse calmo. Il mare è proprio come lo chiama Algy, una dolce madre grigia, no? Mare verde caccola. Mare scroto-costrittore. Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, i greci! Devo insegnarti. Devi leggerli nell’originale. Thalatta! Thalatta! La grande dolce madre. Vieni qui a vedere.
Stephen si drizzò in piedi e andò al parapetto. Appoggiandosi guardò in giú l’acqua e il battello postale che stava uscendo dall’imboccatura di Kingstown.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato anche alcuni versi dalla poesia "Easter 1916 / Pasqua 1916" del 1921 di William Butler Yeats:
MacDonagh and MacBride
And Connolly and Pearse
Now and in time to be,
Wherever green is worn,
Are changed, changed utterly:
A terrible beauty is born.
MacdDnagh, Macbride,
Connoly, Pearse
Ora e nei tempi che verranno,
In ogni luogo in cui si indossi il verde,
Sono mutati, mutati interamente:
Una terribile bellezza è nata.
(Trad. Roberto Sanesi, 1974, Mondadori)
Infine ho citato dei versi da "The triumph of time / Il trionfo del tempo" del 1866 di Algernon Charles Swinburne:
I will go back to the great sweet mother,
Mother and lover of men, the sea. 
Io ritornerò alla grande dolce madre
Madre e amante degli uomini, il mare. 

mercoledì 1 maggio 2019

#7 Una pantera nera

Pantera nera o lonza maculata?

C'è un clima teso fra i tre ospiti nella Torre Martello di Sandycove. Si parla di sogni, pantere nere e spari. E si parla di un famoso scrittore esiliato che con la sua immensa opera ha rivoluzionato il linguaggio nella letteratura. Ma che non è Joyce, bensì il sommo poeta da lui tanto amato: Dante Alighieri.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/-htNZQjypKY

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
— He was raving all night about a black panther, Stephen said. Where is his guncase?
— A woful lunatic! Mulligan said. Were you in a funk?
— I was, Stephen said with energy and growing fear. Out here in the dark with a man I don't know raving and moaning to himself about shooting a black panther. You saved men from drowning. I'm not a hero, however. If he stays on here I am off.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Ha delirato tutta la notte di una pantera nera, disse Stephen. Dov’è la fonda del suo fucile?
– Un miserabile pazzo, disse Mulligan. Hai avuto fifa?
– Eccome, disse Stephen con energia e con crescente paura. In un posto simile al buio con un uomo che non conosco, che delira e geme tra sé di sparare a una pantera nera. Tu hai salvato uomini che stavano per affogare. Ma io, non sono un eroe. Se resta qui lui me ne vado io.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Tutta la notte a farneticare di una pantera nera, disse Stephen. Dove sta la fondina della sua pistola?
– Povero lunatico, fece Mulligan. Hai avuto fifa?
– Certo, disse Stephen, deciso e sempre più impaurito. Quaggiù al buio in compagnia di uno sconosciuto farneticante che medita tra sé e sé di sparare a una pantera nera. Hai salvato persone che stavano per annegare, tu. Ma io non sono un eroe. Se resta, me ne vado.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Tutta la notte ha farneticato su una pantera nera, fece Stephen. Dov’è che tiene il fucile?
– Un lunatico coi fiocchi, rispose Mulligan. Hai avuto fifa?
– Sicuro, disse Stephen energicamente e con l’aria ancor piú spaurita. Là al buio con un tale che non conosco, che delira e borbotta tra sé di sparare a una pantera nera. Tu hai salvato della gente che stava per annegare, ma io non sono un eroe. Se lui resta io vado via.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato anche alcune terzine dell'Inferno dalla Divina Commedia di Dante. Dal canto primo:
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte volto.
 Dal canto sedicesimo:
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
sì come ’l duca m’avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond’ei si volse inver’ lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell’alto burrato.
E dal canto diciassettesimo:
Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza! 
Infine, ho nuovamente fatto riferimento alla seguente preghiera del rito di San Pio V della celebrazione eucaristica, di cui avevamo già parlato nel nostro primo video
https://www.ritrattodiulisse.com/2019/04/1-incontriamo-buck-mulligan.html
Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis.
Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza e liberami dalle passioni della libidine, affinché rimanga sempre in me la virtù della continenza e della castità.

lunedì 15 aprile 2019

#6 Haines il sassone

La spada nella roccia
Già solo a nominarlo, questo giovane Haines di Oxford, ci ritroviamo a fare un ennesimo tuffo nel passato. Partiremo dagli antichi Sassoni, fino ad un rapido excursus sulla storia d'Irlanda e sulle profonde rivalità con l'Inghilterra, tematiche fondamentali non solo nell'Ulisse ma pressoché in tutta la produzione letteraria di Joyce.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/3_s_plgdYrQ


Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Buck Mulligan showed a shaven cheek over his right shoulder.
— God, isn't he dreadful? he said frankly. A ponderous Saxon. He thinks you're not a gentleman. God, these bloody English! Bursting with money and indigestion. Because he comes from Oxford. You know, Dedalus, you have the real Oxford manner. He can't make you out. O, my name for you is the best: Kinch, the knife-blade.
He shaved warily over his chin.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Buck Mulligan mostrò una gota rasata al di sopra della spalla destra.
– Dio, ma quello è tremendo, no? disse con franchezza. Un sassone ponderoso. Non ti considera un gentiluomo. Dio, questi dannati inglesi. Crepano di quattrini e di indigestione. Perché lui viene da Oxford. Sai, Dedalus, tu hai tutto il tono di Oxford. Non arriva a capirti. Oh, ma il nome che ti ho dato è l’ideale: Kinch, lama di coltello.
Si faceva una cauta passata sul mento.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Buck Mulligan volse la guancia rasata alla sua spalla destra.
– Dio, è tremendo, non credi? disse con franchezza. Che sassone noioso. Secondo lui non sei un gentiluomo. Dio, questi inglesi maledetti. Scoppiano di soldi e indigestione. Solo perché viene da Oxford. Lo sai, Dedalus, tu sì che ti comporti come uno di Oxford. Non riesce a capirti quello. Ah, guarda che bel soprannome ti ho trovato: Kinch, la lama di coltello.
Si rase con cautela sotto il mento.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Buck Mulligan mostrò una guancia rasata al di sopra della spalla destra.
– Perdío, che tormento quel tizio, eh? rispose con franchezza. Un pesantissimo sassone. Secondo lui, tu non sei un gentiluomo. Dio mio, questi porci d’inglesi che scoppiano di quattrini e d’indigestione. Viene da Oxford, capirai! Sei tu che hai delle maniere veramente da Oxford, sai, Dedalus? Quello non ci arriva a capirti. Io ti ho battezzato bene: Kinch, lama di coltello.
Si passò il rasoio sul mento con cauti gesti.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)

martedì 2 aprile 2019

#5 Nomi assurdi: Malachi

Mercurio / Ermes
(Primavera, Botticelli)
Dopo esserci concentrati la volta scorsa sul nome assurdo Dedalus, oggi lo facciamo su "Malachi", il nome di Buck Mulligan. Anche questo approfondimento ci porterà lontano: dal profeta ebreo Malachia, fino a Mercurio, il messaggero alato degli Dei. Ma soprattutto sentiremo un nuovo nome, di un nuovo personaggio del romanzo. Quello di Haines.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/lBCwx6w74Og

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
— My name is absurd too: Malachi Mulligan, two dactyls. But it has a Hellenic ring, hasn't it? Tripping and sunny like the buck himself. We must go to Athens. Will you come if I can get the aunt to fork out twenty quid?
He laid the brush aside and, laughing with delight, cried:
— Will he come? The jejune jesuit!
Ceasing, he began to shave with care.
—Tell me, Mulligan, Stephen said quietly.
—Yes, my love?
—How long is Haines going to stay in this tower?
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Anch’io ho un nome assurdo: Malachi Mulligan, due dattili. Ma ha un certo qual suono ellenico, vero? Saltellante e solare proprio come un cerbiatto. Dobbiamo andare ad Atene. Ci vieni se riesco a far sborsare venti sterline alla zia?
Mise giù il pennello e, ridendo di gusto, urlò:
– Verrà lo sparuto gesuita?
Chetatosi, cominciò a sbarbarsi con cura.
– Senti, Mulligan, disse piano Stephen.
– Parla, amor mio.
– Quanto tempo starà ancora Haines in questa torre?
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Anche il mio nome è assurdo: Màlachi Mùlligan, due dattili.
Ma suona ellenico, non trovi? Saltellante e solare come un vero cerbiatto.
Dobbiamo andare ad Atene. Ci vieni, se riesco a scucire venti sterline a mia zia?
Mise da parte il pennello e ridendo con gusto gridò:
– Verrà l’ingenuo gesuita?
Tranquillizzandosi, prese a radersi con cura.
– Dimmi, Mulligan, fece Stephen in tutta calma.
– Sì, amore?
– Per quanto tempo Haines resterà nella torre?
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Anche il mio nome è assurdo: Malachi Mulligan, due dattili. Ma ha un certo che di greco, non ti pare? Saltellante e solare come un cerbiatto. Dobbiamo andare ad Atene. Ci verresti, se riesco a raspare venti sterline fuori dalle scarselle di mia zia?
Mise il pennello da parte e ghignando di gusto gridò:
– Ci verrà l’emaciato gesuita?
Qui s’interruppe e prese a radersi con cura.
– Dimmi una cosa, Mulligan, fece Stephen, in tono pacato.
– Parla, anima mia.
– Questo Haines, quanto tempo deve restarci qui nella torre?
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltre citato un brano da "It Isn't This Time of Year at All: An Unpremeditated Autobiography" del 1954, di Oliver Gogarty:
Behold the wings upon my helmet and my unfettered feet. I can fly backwards and forwards in time and space.
Guardate le ali sul mio elmo e i miei piedi liberi, di volare avanti e indietro nel tempo e nello spazio.

martedì 26 marzo 2019

#4 Nomi assurdi: Dedalus

Il minotauro nel labirinto di Dedalo
I tratti somatici del volto di Buck Mulligan e il nome di Stephen Dedalus, rievocheranno illustri personaggi del passato: incontreremo, storicamente dal più recente, Papa Alessandro VI di Borgia, Santo Stefano protomartire e infine Dedalo e Icaro. Sempre dal passato scomoderemo (e sarà solo la prima di tante occasioni) i versi del sommo poeta, Dante Alighieri, per la cui Divina Commedia Joyce provava una profonda ammirazione.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/_gNMWdhVOr8

Ecco il testo in lingua originale del brano citato di questo video:
He skipped off the gunrest and looked gravely at his watcher, gathering about his legs the loose folds of his gown. The plump shadowed face and sullen oval jowl recalled a prelate, patron of arts in the middle ages. A pleasant smile broke quietly over his lips.
— The mockery of it! he said gaily. Your absurd name, an ancient Greek!
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano lette e citate in questo video:
Saltò giù dalla piazzuola e guardò gravemente il suo osservatore, raccogliendosi intorno alle gambe le pieghe volanti della vestaglia. Il nereggiante viso paffuto e la proterva mascella ovale rammentavano un prelato, protettore delle arti del medioevo. Un amabile sorriso si diffuse pacatamente sulle sue labbra.
– Che canzonatura! disse gaio. Quel tuo nome assurdo, da greco antico.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Saltò giù dalla piazzola di tiro e serio, nel raccogliere intorno alle gambe le pieghe della vestaglia in libertà, squadrava il suo spettatore. Il viso pingue e adombrato e la mascella ovale e arcigna ricordavano le sembianze d’un prelato, mecenate medievale. Un sorriso gioviale s’affacciò pacato tra le labbra.
– Che presa in giro, disse gaio. Il tuo nome assurdo, un antico greco.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Saltò giú dalla piattaforma del bastione e restò a fissare con aria seria il suo osservatore, avvolgendosi i lembi fluttuanti della vestaglia intorno alle gambe. Il viso pasciuto con zone d’ombra e mandibola ovale aggrondata poteva far pensare a un prelato, un protettore delle arti nel medioevo. Un sorriso simpatico si fece strada pacificamente sulle sue labbra.
– Che cosa ridicola, disse in tono gioviale. Quel tuo nome assurdo, da greco antico.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho inoltre citato alcuni versi del canto XVII dell'Inferno della Divina Commedia di Dante:
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui «Mala via tieni!»
E il seguente brano da "A Portrait of the Artist as a Young Man" ovvero "Il ritratto dell'artista da giovane" scritto da James Joyce nel 1914:
APRIL 26. Mother is putting my new secondhand clothes Free eBooks at Planet eBook.com 317 in order. She prays now, she says, that I may learn in my own life and away from home and friends what the heart is and what it feels. Amen. So be it. Welcome, O life, I go to encounter for the millionth time the reality of experience and to forge in the smithy of my soul the uncreated conscience of my race.
APRIL 27. Old father, old artificer, stand me now and ever in good stead.
26 APRILE Mamma mi sta mettendo in ordine i miei vestiti nuovi di seconda mano. Adesso lei prega, dice, che io possa imparare nella mia vita, lontano da casa e dagli amici, cosa è il cuore e quello che sente. Amen. Così sia. Benvenuta, o vita, vado a incontrare per la milionesima volta la realtà dell’esperienza e a forgiare nella fucìna della mia anima la coscienza increata della mia razza.
27 APRILE Antico padre, antico artefice, vienimi ora e sempre in aiuto.
(Traduzione Marina Emo Capodilista, 1973, Newton Compton)

venerdì 8 marzo 2019

#3 Un po' di blasfemia

Giovanni Crisostomo
In questo brano siamo Buck Mulligan dà il meglio di sé esibendosi in un'irriverente parodia della liturgia eucaristica. Troveremo in queste righe riferimenti blasfemi e addirittura satanici. Mentre Stephen Dedalus assiste suo malgrado alla parodia, ci troveremo alle prese con il primo accenno di monologo interiore del romanzo, anche se il monologo è composto forse di una sola parola: Crisostomo.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/sbTSXgSzZRk

Ecco il testo in lingua originale del brano citato di questo video:
He added in a preacher’s tone:
- For this, O dearly beloved, is the genuine Christine: body and soul and blood and ouns. Slow music, please. Shut your eyes, gents. One moment. A little trouble about those white corpuscles. Silence, all.
He peered sideways up and gave a long low whistle of call, then paused awhile in rapt attention, his even white teeth glistening here and there with gold points. Chrysostomos. Two strong shrill whistles answered through the calm.
- Thanks, old chap, he cried briskly. That will do nicely. Switch off the current, will you?
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano lette e citate in questo video:
Poi con un tono da predicatore:
– Perché questo, o miei diletti, è il genuino cristino: corpo e anima e sangue e angue. Musica adagio, di grazia. Chiudete gli occhi, rispettabile pubblico. Un momento. C’è un piccolo guaio con quei corpuscoli bianchi. Silenzio, tutti.
Sogguardò di sghembo e lanciò un lungo sordo fischio di richiamo, poi con rapita attenzione fece una pausa, e i denti bianchi e regolari gli brillavano qua e là di schegge d’oro. Crisostomo. In risposta due forti fischi acuti attraversarono la quiete.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Poi aggiunse, con tono da predicatore:
– È questa, infatti, miei carissimi, la vera Cristina: corpo e anima e sangue e piaghe. Musica lenta, prego. Chiudete gli occhi, signori. Un momento. Qualche problema con quei globuli bianchi. Silenzio, tutti.
Lanciò uno sguardo di lato e fece partire un grave e lungo fischio di richiamo, poi si fermò un momento in attenzione estatica, i denti bianchi e regolari scintillanti d’oro in più punti. Crisostomo. Due fischi robusti e striduli risposero nella calma.
– Grazie, vecchio mio, gridò forte. Basta così. Stacca la corrente, bene?
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
E aggiunse con voce da predica:
– Poiché questa, o miei dilettissimi, è genuina e cristina sostanza, corpo e anima, sangue e liquame e via discorrendo. Musica lenta, prego. Chiudete gli occhi, signore e signori. Un momentino. Un po’ di fastidio con quei corpuscoli bianchi? Fate tutti silenzio.
Diede una guardata indagatrice di sbieco e lanciò un lungo fischio di richiamo a note basse, indi fece una pausa in assorto ascolto, coi bianchi denti regolari che gli brillavano qua e là a barbagli d’oro. Chrysostomos. Seguirono due fischi forti e acuti traversando la quiete.
– Grazie, vecchio mio, fece Buck con tono vispo. Può bastare. Spegni la luce, ti spiace?
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)