lunedì 23 settembre 2019

#15 L'ombelico

L'ombelico della Venere di Botticelli
L'ombelico rappresenta non solo il punto centrale dell'universo, ciò che ci tiene attaccati alla vita prima della nascita, ma anche quel legame da cui non abbiamo saputo distaccarci, il limite oltre il quale ancora oggi spesso non riusciamo a guardare.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/ErbHnpMLpO8

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Young shouts of moneyed voices in Clive Kempthorpe’s rooms. Palefaces: they hold their ribs with laughter, one clasping another, O, I shall expire! Break the news to her gently, Aubrey! I shall die! With slit ribbons of his shirt whipping the air he hops and hobbles round the table, with trousers down at heels, chased by Ades of Magdalen with the tailor’s shears. A scared calf’s face gilded with marmalade. I don’t want to be debagged! Don’t you play the giddy ox with me!
Shouts from the open window startling evening in the quadrangle. A deaf gardener, aproned, masked with Matthew Arnold’s face, pushes his mower on the sombre lawn watching narrowly the dancing motes of grasshalms.
To ourselves…new paganism…omphalos.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Giovani urla di voci danarose nella stanza di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dal ridere, sorreggendosi a vicenda. Oh, c’è da crepare! Recale la notizia con riguardo Aubrey! Qui io muoio! Con la camicia ridotta a fettucce staffilando l’aria saltabecca e brancola intorno al tavolo, i pantaloni calati alle calcagna, rincorso da Ades di Magdalen con le cesoie da sarto. Faccia di vitello sgomento dorata di marmellata d’arance. Non voglio essere messo a culo nudo! Non fate gli stupidi con me!
Dalla finestra aperta gridio che sconcerta la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, in grembiule, mascherato con la faccia di Matthew Arnold, spinge la falciatrice nel prato in ombra aguzzando le ciglia verso lo svolio dei fili d’erba.
Per noi… neopaganesimo… omphalos.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Grida giovani di voci da ricchi nelle stanze di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dalle risate, gli uni aggrappandosi agli altri, Oh, sto per morire! A lei, dillo con tatto, Aubrey! Muoio! Con i brandelli della camicia a batter l’aria, saltella e barcolla intorno al tavolo, i pantaloni calati giù fino alle caviglie, rincorso da Ade di Magdalen con le forbici da sarta. Che faccia da vitello impaurito, indorata di marmellata. Non lasciatemi in mutande! Smettetela di fare gli idioti con me!
Grida dalla finestra aperta ravvivavano le serate nel cortile quadrato. Un giardiniere sordo, il grembiule addosso, il volto la maschera di Matthew Arnold, spinge il tosaerba sul fosco prato e osserva da vicino i fili d’erba danzare.
A noi stessi... nuovo paganesimo... omphalos.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Grida di giovanetti con voci che sanno di quattrini nella camera di Clive Kempthorpe. Visi pallidi, si tengono i fianchi dal ridere, uno aggrappato all’altro. Oh, c’è da crepare! Aubrey, dàlle la notizia con garbo! Ah, morirò! Con sbrendoli sfilacciàti della camicia che svolano per l’aria, lui balzella e zompica intorno al tavolo, calzoni calati sulle scarpe, e dietro gli Ades del Magdalen College armati di forbicioni da sarto. Viso bovino sgomento indorato di marmellata. Non voglio esser messo a culo nudo! ’Sti giochi da vitelloni rinscemiti andate a farli con un altro!
Dalla finestra aperta, urli fan trasalire la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, con grembiule, maschera col volto di Matthew Arnold, spinge la sua falciatrice sul prato in ombra, sbiluciando a fatica i fruscoli dei gambi d’erba che gli ballano innanzi.
Per noi stessi… neopaganesimo… omphalos.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato parte dell'articolo di Joyce su Oscar Wilde apparso in italiano sul Piccolo di Trieste il 24.3.1909:
Qui tocchiamo il centro motore dell’arte di Wilde: il peccato. Si illuse credendosi il portatore della buona novella di un neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualità caratteristiche, le qualità (forse) della sua razza, l’arguzia, l’impulso generoso, l’intelletto asessuale al servizio di una teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l’evo d’oro e la gioia della gioventù del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche verità si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature, aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell’umile, è questa verità inerente nell’anima del cattolicesimo: che l’uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato.

lunedì 9 settembre 2019

#14 L'abbraccio

L'abbraccio dei lottatori di Sumo
(Utagawa Kuniteru 19th)
L'attrito, il dispiacere, l'invidia, la sfida, il timore, il fremito, il fastidio: tutto questo nel contatto fra le braccia di Stephen e Buck, nell'urto fra il rasoio e lo specchio.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/ky8Xefzt7Ss

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Buck Mulligan suddenly linked his arm in Stephen's and walked with him round the tower, his razor and mirror clacking in his pocket where he had thrust them.
— It's not fair to tease you like that, Kinch, is it? he said kindly. God knows you have more spirit than any of them.
Parried again. He fears the lancet of my art as I fear that of his. The cold steelpen.
— Cracked lookingglass of a servant! Tell that to the oxy chap downstairs and touch him for a guinea. He's stinking with money and thinks you're not a gentleman. His old fellow made his tin by selling jalap to Zulus or some bloody swindle or other. God, Kinch, if you and I could only work together we might do something for the island. Hellenise it.
Cranly's arm. His arm.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Improvvisamente Buck Mulligan allacciò il braccio a quello di Stephen e si mise a passeggiare con lui attorno alla torre, il rasoio e lo specchio stridenti nella tasca dove li aveva cacciati.
– Non sta bene tormentarti così, vero Kinch? disse bonariamente. Lo sa Dio che vali più di tutti loro.
Un’altra parata. Teme la lancetta della mia arte come io temo quella della sua. Il freddo acciaio della penna.
– Specchio incrinato di una serva. Diglielo a quel bue del piano di sotto e prova a cavargli una ghinea. Puzza di soldi lontano un miglio e dice che non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il gruzzolo vendendo scialappa agli Zulù o con qualche altro porco imbroglio del genere. Dio mio, Kinch, basterebbe che io e te lavorassimo insieme, potremmo far qualcosa per la nostra isola. Ellenizzarla.
Il braccio di Cranly. Il suo braccio.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Buck Mulligan si agganciò subito al braccio di Stephen per camminare con lui intorno alla torre, col rasoio e lo specchio tintinnanti in tasca.
– Non è giusto farsi prendere in giro così, Kinch, non trovi? disse gentile. Dio solo sa quanto ardore hai più di loro.
Altro attacco respinto. Teme il bisturi della mia arte almeno quanto io tema il suo. La fredda penna d’acciaio.
– Specchio incrinato di una serva. Dillo a quel bovino di Oxford al piano di sotto e spillagli una ghinea. Puzza di quattrini, e per lui sei tu a non essere un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto i soldi vendendo gialappa agli zulù o rifilando altri bidoni del genere. Dio, Kinch, se soltanto tu ed io potessimo lavorare insieme, magari faremmo qualcosa per quest’isola. Ellenizzarla.
Il braccio di Cranly. Il suo braccio.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
D’improvviso Buck Mulligan prese Stephen sottobraccio e fece con lui un giro della torre, mentre specchio e rasoio sbatacchiavano nella tasca dove se li era ficcati.
– Non è giusto punzecchiarti cosí, eh, Kinch? disse gentile. Dio sa che hai piú stoffa di tutti.
Di nuovo parato il colpo. Lui teme il bisturi della mia arte come io temo quello della sua. Il freddo acciaio della penna.
– Lo specchio sbrecciato d’una serva. Vallo a dire a quel bove dabbasso e scroccagli una ghinea. Quello puzza di pecunia lontano un miglio e pensa che tu non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il grano vendendo olio di ricino agli Zulú, o con qualche marcio bindolo del genere. Perdío, Kinch, se avessimo modo di lavorare assieme potremmo far qualcosa per quest’isola. Potremmo ellenizzarla.
Il braccio dell’amico Cranly e qui il braccio di Mulligan.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Sono stati menzionati gli scritti "Cultura e anarchia" del 1869 di Matthew Arnold e il già citato in precedenza Algernon Swinburne.

Inoltre dal "Ritratto dell'artista da giovane" di Joyce (traduz. Capodilista, Newton Compton), è stato citato il seguente passo dalla conversazione fra Dedalus e Cranly:
«Senti un po’, Cranly», disse. «Mi hai chiesto cosa farei e cosa non farei. Ti dirò cosa farò e cosa non farò. Non servirò ciò in cui non credo più, si chiami casa, patria o chiesa: e cercherò di esprimere me stesso in qualche modo di vita o di arte il più liberamente e il più compiutamente possibile, usando a mia difesa le sole armi che mi concedo di usare: il silenzio, l’esilio e l’astuzia.»
Cranly gli afferrò il braccio e lo fece voltare così da riportarlo verso il parco Leeson. Rise quasi sornione e strinse il braccio di Stephen con un affetto da fratello maggiore.
«La tua astuzia!», disse. «Tu? Mio povero poeta!»
«E mi hai fatto confessare», disse Stephen, turbato da quel contatto, «come ti ho già confessato tante altre cose, no?»
«Sì, figlio mio», disse Cranly, ancora allegro.
«Mi hai fatto confessare i miei timori. Ma ti dirò anche cos’è che non temo. Non temo di rimanere solo o di essere respinto per un altro o di lasciare quello che devo lasciare. E non ho paura di commettere un errore, anche un grande errore, un errore che duri tutta la vita e forse pure tutta l’eternità.»
Cranly, tornato serio, rallentò il passo e disse:
«Solo, completamente solo. Non hai paura di questo. Ma sai cosa significa questa parola? Non soltanto essere separato da tutti gli altri, ma non avere neanche un amico».