domenica 18 aprile 2021

#30 Mr. Deasy e il denaro

Esattore delle tasse
(van Reymerswaele 1540)
Incontriamo Mr Deasy, il preside della scuola presso cui Stephen lavora come insegnante. E' giorno di paga e quindi si parlerà di soldi, di monete, di banconote, di ricchezza, di debiti... tutti concetti che a Stephen interessano molto poco.

Per guardare questo e gli altri video su Youtube, clicca qui sotto:
https://www.youtube.com/playlist?list=PLJBcZmWWmlya9nyJ_RDBq3WOnW6twdmYo

La versione in podcast è disponibile su Spotify qui:
https://open.spotify.com/show/05nniQWDcnUfLNkUJ9LXWR?si=U2cFdX26S0etdDljPP2zGQ

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Stale smoky air hung in the study with the smell of drab abraded leather of its chairs. As on the first day he bargained with me here.
As it was in the beginning, is now. On the sideboard the tray of Stuart coins, base treasure of a bog: and ever shall be. And snug in their spooncase of purple plush, faded, the twelve apostles having preached to all the gentiles: world without end.
A hasty step over the stone porch and in the corridor. Blowing out his rare moustache Mr Deasy halted at the table.
— First, our little financial settlement, he said.
He brought out of his coat a pocketbook bound by a leather thong. It slapped open and he took from it two notes, one of joined halves, and laid them carefully on the table.
— Two, he said, strapping and stowing his pocketbook away.
And now his strongroom for the gold. Stephen's embarrassed hand moved over the shells heaped in the cold stone mortar: whelks and money cowries and leopard shells: and this, whorled as an emir's turban, and this, the scallop of saint James. An old pilgrim's hoard, dead treasure, hollow shells.
A sovereign fell, bright and new, on the soft pile of the tablecloth.
— Three, Mr Deasy said, turning his little savingsbox about in his hand. These are handy things to have. See. This is for sovereigns. This is for shillings. Sixpences, halfcrowns. And here crowns. See.
He shot from it two crowns and two shillings.
— Three twelve, he said. I think you'll find that's right.
— Thank you, sir, Stephen said, gathering the money together with shy haste and putting it all in a pocket of his trousers.
— No thanks at all, Mr Deasy said. You have earned it.
Stephen's hand, free again, went back to the hollow shells. Symbols too of beauty and of power. A lump in my pocket: symbols soiled by greed and misery.
— Don't carry it like that, Mr Deasy said. You'll pull it out somewhere and lose it. You just buy one of these machines. You'll find them very handy.
Answer something.
— Mine would be often empty, Stephen said.
The same room and hour, the same wisdom: and I the same. Three times now. Three nooses round me here. Well? I can break them in this instant if I will.
— Because you don't save, Mr Deasy said, pointing his finger. You don't know yet what money is. Money is power. When you have lived as long as I have. I know, I know. If youth but knew. But what does Shakespeare say? Put but money in thy purse.
— Iago, Stephen murmured.
He lifted his gaze from the idle shells to the old man's stare.
— He knew what money was, Mr Deasy said. He made money. A poet, yes, but an Englishman too. Do you know what is the pride of the English? Do you know what is the proudest word you will ever hear from an Englishman's mouth?
The seas' ruler. His seacold eyes looked on the empty bay: history is to blame: on me and on my words, unhating.
— That on his empire, Stephen said, the sun never sets.
— Ba! Mr Deasy cried. That's not English. A French Celt said that. He tapped his savingsbox against his thumbnail.
— I will tell you, he said solemnly, what is his proudest boast. I paid my way.
Good man, good man.
— I paid my way. I never borrowed a shilling in my life. Can you feel that? I owe nothing. Can you?
Mulligan, nine pounds, three pairs of socks, one pair brogues, ties. Curran, ten guineas. McCann, one guinea. Fred Ryan, two shillings. Temple, two lunches. Russell, one guinea, Cousins, ten shillings, Bob Reynolds, half a guinea, Koehler, three guineas, Mrs MacKernan, five weeks' board. The lump I have is useless.
— For the moment, no, Stephen answered.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è tratta da: Ulysses Broadcast - RTE Radio 1982

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Un’aria stantia di fumo gravava nello studio insieme all’odore del cuoio logoro e scolorito delle sedie. Come il primo giorno che egli contrattò con me qui. Come era nel principio, è ora. Sulla credenza il vassoio di monete dell’epoca Stuart, vile tesoro di una torbiera: e sempre sarà. E comodi nel loro astuccio di velluto violetto, sbiadito, i cucchiaini sormontati dai dodici apostoli che han predicato a tutti i gentili: nei secoli dei secoli.
Un passo rapido sul lastrico del porticato e nel corridoio. Soffiando all’infuori i suoi radi baffi Mr Deasy si fermò al tavolo.
– Anzitutto, la nostra piccola questione amministrativa, disse.
Estrasse dalla giacca un portafogli assicurato da un cinturino di cuoio. Si aprì di scatto, ed egli ne estrasse due banconote, una delle quali formata da due metà unite insieme, e le depose con cura sul tavolo.
– Due, disse, fermando il cinturino e riponendo il portafogli.
E ora la camera blindata per l’oro. La mano imbarazzata di Stephen si mosse sulle conchiglie ammucchiate nel freddo mortaio di pietra: buccini e monete cauri e conchiglie maculate: e questa, attortigliata come il turbante di un emiro, e questa, valva del nicchio di San Giacomo. Il gruzzolo di un antico pellegrino, morto tesoro, vuoti gusci di conchiglie.
Una sovrana cadde, lucente e nuova, sulla soffice peluria del tappeto del tavolo.
– Tre, disse Mr Deasy, rigirando in mano il suo forzieretto metallico. Questi sono aggeggi pratici. Vede. Questo è per le sovrane. Questo per gli scellini. Le monete da sei pence, le mezze corone. E qui le corone. Vede.
Ne fece uscire due corone e due scellini.
– Tre e dodici, disse. Credo che troverà che il conto torna.
– Grazie, signore, disse Stephen, raccogliendo insieme il denaro con timida fretta e infilandolo tutto in una tasca dei pantaloni.
– Grazie di nulla, disse Mr Deasy. Se lo è guadagnato.
La mano di Stephen, di nuovo libera, tornò ai vuoti gusci di conchiglia. Simboli anche di bellezza e di potenza. Un rigonfio nella tasca: simboli insozzati di avidità e infelicità.
– Non li porti così, disse Mr Deasy. Li tirerà fuori da qualche parte e li perderà. Compri uno di questi arnesi. Li troverà molto pratici.
Rispondere qualcosa.
– Il mio sarebbe spesso vuoto, disse Stephen.
La stessa stanza e la stessa ora, la stessa saggezza: ed io lo stesso. Tre volte ora. Tre cappi intorno al mio collo qui. Bene. Li posso spezzare in questo istante se voglio.
– Perché lei non risparmia, disse Mr Deasy, puntando un dito. Lei non sa ancora cos’è il denaro. Il denaro è potere. Quando lei avrà vissuto quanto me. Lo so, lo so. Solo che i giovani sapessero. Ma cosa dice Shakespeare? Solo, metti danaro nella borsa.
– Iago, mormorò Stephen.
Levò gli occhi dalle vane conchiglie per incontrare lo sguardo del vecchio.
– Lui lo sapeva cos’era il denaro, disse Mr Deasy. Ha fatto quattrini. Poeta sì, ma anche inglese. Lo sa lei cos’è il vanto degli inglesi? Lo sa qual è la parola più fiera che udirà mai uscire dalla bocca di un inglese?
Il signore delle onde. I suoi occhi freddi come il mare guardavano la baia vuota: la colpa è della storia sembra: su di me e sulle mie parole, senza odio.
– Che sul suo impero, disse Stephen, non tramonta mai il sole.
– Bah! esclamò Mr Deasy. Quello non è inglese. Quello lo disse un celta francese. 
Tambureggiò col suo piccolo forziere contro l’unghia del pollice.
– Glielo dirò io, disse solennemente, qual è il suo vanto più fiero. Ho pagato.
Brav’uomo, brav’uomo.
– Ho pagato. Non ho mai preso in prestito uno scellino in vita mia. Può sentirsi così lei? Non devo nulla. Può capirlo?
A Mulligan, nove sterline, tre paia di pedalini, un paio di stivali, cravatte. A Curran, dieci ghinee. A McCann, una ghinea. A Fred Ryan, due scellini. A Temple, due colazioni. A Russell, una ghinea, a Cousins, dieci scellini, a Bob Reynolds, mezza ghinea, a Koehler, tre ghinee, a Mrs MacKernan, cinque settimane di pensione. Il rigonfio che ho in tasca è inutile.
– Per il momento, no, rispose Stephen.
(Giulio De Angelis 1960 Mondadori)
Nello studio aleggiava aria fumosa e stantia mista all’odore della pelle bruna e consunta delle sedie. Come il primo giorno in cui qui con me contrattava. Come era al principio, è ora. Sulla credenza il vassoio di monete epoca Stuart, vile tesoro d’una torbiera: e sempre. E comodi nella loro scatola felpata per cucchiaini color porpora, sbiaditi, i dodici apostoli che hanno predicato davanti a tutti i gentili: nei secoli dei secoli.
Un passo affrettato lungo il porticato di pietra e nel corridoio. Soffiando sui baffi radi Mr Deasy si fermò accanto al tavolo.
– Prima, facciamo i nostri conticini, disse.
Prese dal cappotto un taccuino legato da una cinghia di pelle. Aperto vi estrasse due banconote, una composta di due metà unite, per posarle con cura sul tavolo.
– Due, disse, riallacciando il taccuino e riponendolo via.
E ora la sua stanza blindata per l’oro. La mano imbarazzata di Stephen si muoveva sulle conchiglie accumulate nel freddo mortaio in pietra: buccini e monete cipree e conchiglie a chiazze di leopardo: questa, a spirale come un turbante d’emiro, e quest’altra, il ventaglio di san Giacomo. Il gruzzolo d’un vecchio pellegrino, tesoro morto, conchiglie vuote.
Una sovrana cadde, lucente e nuova, sulle fibre soffici del copritavola.
– Tre, disse Mr Deasy, rigirando nella mano il piccolo salvadanaio. Sono oggetti utili. Guardi. Questo è per le sovrane. Questo per gli scellini, i sei pence, le mezze corone. E qui le corone. Guardi.
Tirò fuori di colpo due corone e due scellini.
– Tre e dodici, disse. Come vede, è la somma giusta.
– La ringrazio, signore, disse Stephen, radunando insieme il denaro con timido zelo e infilando il tutto in una tasca dei pantaloni.
– Non c’è bisogno che mi ringrazi, fece Mr Deasy. Se li è guadagnati.
La mano di Stephen, di nuovo libera, tornò alle conchiglie vuote. Anch’esse simboli di bellezza e potere. Un bozzo in tasca. Simboli insudiciati di avidità e miseria.
– Non li tenga così, disse Mr Deasy. Prima o poi li tirerà fuori e li perderà. Si compri uno di questi oggetti. Li troverà davvero pratici.
Rispondi qualcosa.
– Il mio sarebbe spesso vuoto, disse Stephen.
La stessa stanza e ora, la stessa saggezza: e io lo stesso. Tre volte già. Tre cappi per me qui. Beh. Potrei romperli in quest’istante se volessi.
– Perché non risparmia, disse Mr Deasy, indicando con un dito. Lei non lo sa ancora cosa sia il denaro. Il denaro è potere, quando hai vissuto tanto quanto me. Lo so, lo so. Se solo i giovani sapessero. Ma cos’è che dice Shakespeare? Metti solo il denaro in borsa.
– Iago, mormorò Stephen.
Alzò lo sguardo intenso dalle inutili conchiglie agli occhi fissi del vecchio.
– Lui lo sapeva cosa fosse il denaro, disse Mr Deasy. Faceva soldi, lui. Un poeta ma anche un inglese. Lo sa, lei, qual è l’orgoglio degli inglesi? Lo sa qual è la frase più orgogliosa che mai sentirà dalla bocca di un inglese?
Il dominatore dei mari. I suoi occhi freddi come il mare squadravano la baia vuota: è colpa della storia: su di me e sulle mie parole, non odiate.
– Sull’impero, disse Stephen, il sole non tramonta mai.
– Ma che! esclamò Mr Deasy. Questo non è inglese. L’ha detto un celta francese.
Tamburellava sul salvadanaio con l’unghia del pollice.
– Glielo dico io, fece solennemente, qual è il loro maggior vanto. Mi son pagato tutto.
Brav’uomo, brav’uomo.
– Mi son pagato tutto. Lei può dirlo? Non ho mai chiesto in prestito uno scellino in vita mia. Può dirlo? Non devo nulla a nessuno. Può lei?
Mulligan, nove sterline, tre paia di calzini, un paio di scarpacce, cravatte. Curran, dieci ghinee. McCann, una ghinea. Fred Ryan, due scellini. Temple, due pranzi. Russell, una ghinea, Cousins, dieci scellini, Bob Reynolds, mezza ghinea, Köhler, tre ghinee, Mrs McKernan, cinque settimane di vitto. Il mio bozzo è inutile.
– Al momento, no, rispose Stephen.
(Enrico Terrinoni 2012 Newton Compton) 
Stantio odore di fumo aleggiava nell’ufficio, assieme a quello del cuoio vecchio e scolorito delle sedie. Come nel primo giorno in cui ha contrattato qui con me. Come era in principio ora è, tale e quale. Sulla credenza il vassoio con monete d’epoca Stuart, tesoro da due soldi trovato in una torbiera, e cosí sempre sarà. E a posto come si deve, sul portacucchiaini di felpa color porpora sbiadita, i dodici apostoli che predicarono la fede a tutti i gentili: mondo senza fine.
Un passo frettoloso sul lastrico del porticato e nel corridoio. Soffiando in fuori i radi baffi, Mr Deasy s’arrestò presso il tavolo.
– Anzitutto, la nostra piccola faccenda finanziaria, disse.
Estrasse dalla giacca un portafoglio chiuso da un cinturino in cuoio. Tac, portafoglio aperto, donde prese due banconote, una d’esse piegata in due, e le depose riguardosamente sul tavolo.
– Due, disse, richiudendo e indi riponendo il portafoglio.
E adesso tocca all’oro della sua cassaforte. La mano imbarazzata di Stephen si muoveva sulle conchiglie ammucchiate in un freddo mortaio di pietra, buccini e cauri e nicchi maculati, e quella a torciglione come il turbante d’un emiro, e la conchiglia di san Giacomo. Collezione d’un vecchio pellegrino, tesoro defunto, gusci vuoti.
Una sovrana, nuova e lucente, cadde sulla tovaglia del tavolo, soffice e lanosa.
– E tre! fece Mr Deasy, rigirandosi in mano il piccolo salvamonete. Questi sono aggeggi pratici! Qui ci vanno le sovrane, qui gli scellini, qui i sei pence, qui le mezze corone, e qui le corone. Vede?
Fece saltar fuori dall’aggeggio due corone e due scellini.
– Che fa tre e dodici, disse. Penso che il conto torni, controlli.
– Grazie, signore, disse Stephen, raccogliendo le monete con fretta da timido e ficcandosi tutto nella tasca dei calzoni.
– Non c’è da ringraziare, rispose Mr Deasy. Se li è guadagnati.
Di nuovo libera, la mano di Stephen tornò alle conchiglie vuote. Simboli anche di bellezza e di potere. Un rigonfio nella tasca. Simboli insozzati da cupidigia e avarizia.
– Non li porti cosí, quei soldi, disse Mr Deasy. Se li tira fuori da qualche parte poi li perde. Dovrebbe comperarsi uno di questi aggeggi. Vedrà come sono pratici!
Rispondi qualcosa.
– Il mio sarebbe sempre vuoto, disse Stephen.
La stessa stanza e la stessa ora e lo stesso buon senso: e io lo stesso. È la terza volta. Tre volte il cappio intorno al collo. Be’, potrei spezzarlo subito se volessi.
– Perché non risparmia, disse Mr Deasy, puntando il dito. Lei ancora non sa cos’è il denaro. Il denaro è potere. Quando uno ha vissuto a lungo come me, lo sa. Io lo so. Se gioventú sapesse! Ma cosa dice Shakespeare? E tu metti denaro in borsa!
– Iago, mormorò Stephen.
Sollevò gli occhi dalle inutili conchiglie fino a incontrare lo sguardo del vecchio.
– Lui sapeva cos’è il denaro, disse Mr Deasy. Ne guadagnava parecchio. Poeta ma anche Inglese. Lei sa qual è l’orgoglio dell’Inglese? Lo sa qual è la parola di massima fierezza che udrà mai dalla bocca d’un Inglese?
Il dominio dei mari. Quegli occhi freddi come il mare guardavano laggiú nella baia deserta: pare che sia colpa della Storia: su di me e le mie parole, nessun odio che tenga.
– Che sul suo impero non tramonta mai il sole, disse Stephen.
– Bah! gridò Mr Deasy. Questo non è inglese. Questo l’ha detto un celtico francese.
Tambureggiava con l’unghia del pollice il suo salvamonete:
– Ora glielo dico io, dichiarò solennemente, qual è la frase di massima vanteria dell’Inglese. Ho sempre pagato il dovuto.
Che brav’uomo, oh che brav’uomo!
– Io ho sempre pagato il dovuto. Non ho mai preso in prestito uno scellino in vita mia. Ci riesce lei a sentirsi cosí? Io non devo niente a nessuno. Ci riesce lei?
Mulligan, nove sterline, tre paia di calzini, un paio di fangose, cravatte. Curran, dieci ghinee. McCann, una ghinea. Fred Ryan, due scellini. Temple, due pranzi. Russell, una ghinea, Cousins, dieci scellini, Bob Reynolds, mezza ghinea, Kohler, tre ghinee, signora McKernan, cinque settimane di pensione. Il gruzzolo che ho in tasca non serve a niente.
– Per il momento no, rispose Stephen.
(Gianni Celati 2013 Einaudi)
Aria rancida di fumo pesava nello studio con l’odore del bigio gibboso cuoio delle poltrone. Così come il primo giorno ha mercanteggiato con me qui. Com’era nel principio e ora. Sul mobiletto il vassoio di monete Stuart, miserabile tesoro di una palude: e sempre. E rannicchiati nel loro cofanetto per cucchiai in purpurea felpa scolorita, i dodici apostoli22 dopo aver predicato a tutti i gentili: nei secoli dei secoli.
Un passo frettoloso sul portico in pietra e nel corridoio. Sbuffando all’infuori i radi baffi, il signor Deasy si fermò al tavolo.
«Prima la nostra piccola pratica finanziaria,» disse.
Estrasse dalla giacca un portafoglio legato con una striscia di cuoio. Si spalancò e lui ne estrasse due banconote, una in due metà incollate, che posò con cura sul tavolo.
«Due,» disse, legando e rimettendo via il portafoglio.
E adesso il suo forziere per l’oro. L’imbarazzata mano di Stephen si muoveva sulle conchiglie ammucchiate nel freddo mortaio di pietra: buccine, monetarie e panterine; e questa, convoluta come il turbante di un emiro, e questa, la conchiglia di San Giacomo. Peculio di un vecchio pellegrino, tesoro morto, gusci vuoti.
Una sovrana cadde, scintillante e nuova, sulla morbida peluria della tovaglia.
«Tre,» disse il signor Deasy, rigirandosi in mano il suo piccolo salvadanaio. «Questi sono oggetti pratici. Guardi. Qui le sovrane. Qui scellini, sei pence, mezze corone. E qui le corone. Guardi.»
Ne fece schizzare fuori due corone e due scellini.
«Tre e dodici,» disse. «Credo troverà che è giusto.»
«Grazie, signore,» disse Stephen raccattando i soldi con timida premura e mettendoli tutti in una tasca dei pantaloni.
«Assolutamente nessun grazie,» ribatté il signor Deasy. «L’ha guadagnato.»
La mano di Stephen, di nuovo libera, tornò ai gusci vuoti. Simboli anche di bellezza e di potere. Un rigonfio nella mia tasca. Simboli insozzati da avidità e disgrazia.
«Non lo porti in giro così,» disse il signor Deasy. «Lo tirerà fuori da qualche parte e lo perderà. Comperi una di queste macchinette. Le troverà molto pratiche.»
Rispondi qualcosa.
«La mia sarebbe spesso vuota,» disse Stephen.
Stessa stanza e stessa ora, stessa saggezza; e io, lo stesso. Tre volte, ormai. Tre cappi attorno a me, qui. E allora? Posso spezzarli in questo istante, se voglio.
«Perché lei non risparmia,» replicò il signor Deasy, puntando il dito. «Non sa ancora cosa sia il denaro. Il denaro è potere, quando si è vissuto a lungo quanto me. Io so, so. Se la gioventù sapesse. Ma cosa dice Shakespeare? Metti denaro nella borsa.»
«Iago,» mormorò Stephen.
Sollevò gli occhi dalle oziose conchiglie allo sguardo fisso del vecchio.
«Sapeva cosa sono i soldi,» disse il signor Deasy. «Li faceva, i soldi. Poeta, sì, ma anche inglese. Lo sa qual è il vanto degli inglesi? Lo sa qual è l’espressione più fiera che sentirà mai dalla bocca di un inglese?»
Il dominatore dei mari. I suoi occhi freddo mare guardarono alla baia deserta; {pare} sia colpa della storia; per me e per le mie parole, senza odio.
«Che sul suo impero,» rispose Stephen, «il sole non tramonta mai.»
«Ba!» gridò il signor Deasy. «Quella non è inglese. L’ha detta un celta francese.»
E si picchiettò la scatoletta delle monete sull’unghia del pollice.
«Glielo dico io,» enunciò solennemente, «qual è il vanto più fiero dell’inglese. Me lo sono pagato.»
Brav’uomo, brav’uomo.
«Me lo sono pagato. Non ho mai preso a prestito uno scellino in vita mia. Può sentirsi così lei? Non devo niente. Eh?»
Mulligan, nove sterline, tre paia di calze, un paio di scarpe, cravatte. Curran, dieci ghinee. McCann, una ghinea. Fred Ryan, due scellini. Temple, due pranzi. Russell, una ghinea, Cousins, dieci scellini, Bob Reynolds, mezza ghinea, Köhler, tre ghinee, la signora McKernan, cinque settimane di pensione. Il rigonfio che ho è inutile.
«Per il momento no,» rispose Stephen.
(Mario Biondi 2020 La Nave di Teseo)