martedì 24 novembre 2020

#27 Ponti e pontili


I pontili di Dún Laoghaire (Kingstown)
Partiamo con il 2° episodio dell'Ulisse e lo facciamo assistendo ad una bizzarra lezione di storia tenuta da Stephen Dedalus. In classe si respira un'aria quasi grottesca. Le domande e le risposte fra insegnante e alunni, si alternano ai monologhi interiori di Dedalus.

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La versione in podcast è disponibile su Spotify qui:
https://open.spotify.com/show/05nniQWDcnUfLNkUJ9LXWR?si=U2cFdX26S0etdDljPP2zGQ

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
— You, Cochrane, what city sent for him?
— Tarentum, sir.
— Very good. Well?
— There was a battle, sir.
— Very good. Where?
The boy's blank face asked the blank window.
Fabled by the daughters of memory. And yet it was in some way if not as memory fabled it. A phrase, then, of impatience, thud of Blake's wings of excess. I hear the ruin of all space, shattered glass and toppling masonry, and time one livid final flame. What's left us then?
— I forget the place, sir. 279 B. C.
— Asculum, Stephen said, glancing at the name and date in the gorescarred book.
— Yes, sir. And he said: Another victory like that and we are done for.
That phrase the world had remembered. A dull ease of the mind. From a hill above a corpsestrewn plain a general speaking to his officers, leaned upon his spear. Any general to any officers. They lend ear.
— You, Armstrong, Stephen said. What was the end of Pyrrhus?
— End of Pyrrhus, sir?
— I know, sir. Ask me, sir, Comyn said.
— Wait. You, Armstrong. Do you know anything about Pyrrhus?
A bag of figrolls lay snugly in Armstrong's satchel. He curled them between his palms at whiles and swallowed them softly. Crumbs adhered to the tissue of his lips. A sweetened boy's breath. Welloff people, proud that their eldest son was in the navy. Vico road, Dalkey.
— Pyrrhus, sir? Pyrrhus, a pier.
All laughed. Mirthless high malicious laughter. Armstrong looked round at his classmates, silly glee in profile. In a moment they will laugh more loudly, aware of my lack of rule and of the fees their papas pay.
— Tell me now, Stephen said, poking the boy's shoulder with the book, what is a pier.
— A pier, sir, Armstrong said. A thing out in the waves. A kind of a bridge. Kingstown pier, sir.
Some laughed again: mirthless but with meaning. Two in the back bench whispered. Yes. They knew: had never learned nor ever been innocent. All. With envy he watched their faces: Edith, Ethel, Gerty, Lily. Their likes: their breaths, too, sweetened with tea and jam, their bracelets tittering in the struggle.
— Kingstown pier, Stephen said. Yes, a disappointed bridge.
The words troubled their gaze.
— How, sir? Comyn asked. A bridge is across a river.
For Haines's chapbook. No-one here to hear. Tonight deftly amid wild drink and talk, to pierce the polished mail of his mind. What then? A jester at the court of his master, indulged and disesteemed, winning a clement master's praise. Why had they chosen all that part? Not wholly for the smooth caress. For them too history was a tale like any other too often heard, their land a pawnshop.
Had Pyrrhus not fallen by a beldam's hand in Argos or Julius Caesar not been knifed to death. They are not to be thought away. Time has branded them and fettered they are lodged in the room of the infinite possibilities they have ousted. But can those have been possible seeing that they never were? Or was that only possible which came to pass? 
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è tratta da: Ulysses Broadcast - RTE Radio 1982

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Lei, Cochrane, che città lo mandò a chiamare?
– Taranto, professore.
– Benissimo. E allora?
– C’è stata una battaglia, professore.
– Benissimo. Dove?
La faccia vuota del ragazzo interrogò la finestra vuota.
Favoleggiata dalle figlie della memoria. E tuttavia in qualche modo ci fu anche se non come la memoria l’ha favoleggiata. Un’esclamazione d’impazienza, poi, tonfo delle ali trasmodanti di Blake. Odo il ruinare di tutto lo spazio, vetro infranto e muratura crollante, e il tempo un’unica livida vampata finale. Che ci rimane allora?
– Non ricordo il luogo, professore, 279 a.C.
– Ascoli, disse Stephen, dando un’occhiata al nome e alla data sul libro con i suoi sfregi cruenti.
– Sì, professore. E disse: Un’altra vittoria come questa e siamo spacciati.
Quella frase il mondo se l’era ricordata. Ottusa distensione della mente. Da un colle a dominio di una pianura cosparsa di cadaveri un generale che parla ai suoi ufficiali, appoggiato a una lancia. Generale qualunque a ufficiali qualunque. Porgono orecchio.
– Lei, Armstrong, disse Stephen. Quale fu la fine di Pirro?
– La fine di Pirro, professore?
– Io lo so, professore. Lo domandi a me, professore, disse Comyn.
– Aspetti. Lei, Armstrong. Sa qualcosa di Pirro?
Un cartoccio di fichisecchi se ne stava acquattato nella cartella di Armstrong. Lui li appallottolava ogni tanto tra le palme e quietamente li inghiottiva. Minuzzoli aderivano alla pelle delle labbra. Fiato addolcito di ragazzo. Gente benestante, orgogliosi che il figlio maggiore fosse in marina. Vico road, Dalkey.
– Pirro, professore? Pireo, un molo.
Tutti risero. Alta inamena malevola risata. Armstrong volse lo sguardo ai compagni, profilo di una stolida gaiezza. Tra un momento rideranno più forte, consci della mia scarsa autorità e delle rette che i loro babbi pagano.
– Allora mi dica, fece Stephen, toccando col libro la spalla del ragazzo, che cos’è un molo.
– Un molo, professore, disse Armstrong. Una cosa che sporge tra le onde. Una specie di ponte. Il molo di Kingstown, professore.
Alcuni risero di nuovo: inameni, ma con intenzione. Due nell’ultimo banco bisbigliavano. Sì. Sapevano: senza mai aver imparato né mai essere stati innocenti. Tutti. Con invidia osservò le loro facce. Edith, Ethel, Gerty, Lily. Le loro simili, anche loro dai fiati addolciti di tè e marmellata, le risatine dei loro braccialetti nella zuffa.
– Il molo di Kingstown, disse Stephen. Sì, un ponte fallito.
Le parole turbarono il loro sguardo.
– Come, professore? domandò Comyn. Un ponte scavalca un fiume.
Per lo zibaldone di Haines. Nessuno qui a sentire. Stasera con destrezza tra sfrenate chiacchiere e bevute per trapassare il brunito usbergo della sua mente. E allora? Un buffone alla corte del suo signore vezzeggiato e disprezzato, che si guadagna la lode di un clemente signore. Perché avevano scelto tutti quanti quella parte? Non solo per la morbida carezza. Anche per loro la storia era un racconto come tanti altri sentiti troppo spesso, la loro patria un monte di pietà.
Se Pirro non fosse caduto ad Argo per mano di una vecchiaccia, o Giulio Cesare non fosse stato ucciso a coltellate. Cose che non si possono abolire col pensiero. Il tempo le ha segnate col suo marchio, e in ceppi dimorano nel luogo delle infinite possibilità che esse hanno estromesso. Ma possono essere state possibili dato che non furono mai? O fu possibile solo ciò che avvenne?
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Tu, Cochrane, quale città lo mandò a chiamare?
– Taranto, signore.
– Molto bene, e allora?
– Ci fu una battaglia, signore.
– Molto bene. Dove?
Il volto vuoto del ragazzo interrogava la finestra vuota.
Favoleggiata dalle figlie della memoria. Eppure in qualche modo era accaduta se non proprio come la memoria l’aveva favoleggiata. Un’espressione, poi, d’impazienza, rombanti le ali dell’eccesso di Blake. Sento la rovina di ogni spazio, il vetro infranto e le mura cadenti, e il tempo una livida fiamma definitiva. Che cosa ci ha lasciato, dunque?
– Non ricordo il luogo, signore. 279 a.C.
– Ascoli, disse Stephen, sbirciando il nome e la data dal libro macchiato.
– Sì, signore. E disse: Un’altra vittoria come questa e siamo finiti.
La frase rimasta impressa al mondo. Una monotona tranquillità della mente. Dalla collina su una radura cosparsa di cadaveri un generale che parla ai suoi ufficiali, appoggiato alla lancia. Ogni generale a ogni ufficiale. Prestano orecchio, loro.
– Tu, Armstrong, disse Stephen. Com’è finito Pirro?
– Finito Pirro, signore?
– Lo so io, signore. Lo chieda a me, disse Comyn.
– Aspetta. Tu, Armstrong. Non sai niente di Pirro?
Una scatola di biscottini ai fichi giaceva tranquilla nella cartella di Arm­strong. Ogni tanto li faceva rotolare tra i palmi per poi inghiottirli delicatamente. Gli restavano briciole attaccate alla pelle delle labbra. L’alito addolcito di un ragazzo. Gente benestante, orgogliosa del figlio maggiore in marina. Vico Road, Dalkey.
– Pirro, signore? Pilo, pilone, un pontile.
Tutti risero. Risate stridule maliziose senza gioia. Armstrong guardava i compagni di classe intorno, profili di gioia sciocca. Tra un attimo rideranno ancor più forte, sicuri della mia scarsa attenzione alla disciplina e delle rette versate dai loro papà.
– Ora dimmi, fece Stephen, dando un colpetto alla spalla del ragazzo col libro, cos’è un pontile?
– Un pontile, signore, disse Armstrong. Una cosa che sta lì in mezzo alle onde. Una specie di ponte, come il pontile di Kingstown, signore.
Alcuni risero ancora: senza gioia ma di proposito. Due nel banco di dietro sussurravano. Sì. Loro lo sanno: non hanno mai imparato né mai sono stati innocenti. Tutti. Con invidia guardava i loro volti. Edith, Ethel, Gerty, Lily. I loro simili: pure quegli aliti, addolciti da tè e marmellata, i braccialetti a ridacchiare nella lotta.
– Il pontile di Kingstown, disse Stephen. Sì, un ponte in disappunto.
Quelle parole turbarono il loro sguardo fisso.
– Come, signore? chiese Comyn. Un ponte sta sul fiume.
Per il taccuino di Haines. Niuno ivi a udire. Stanotte abilmente tra bevute sfrenate e chiacchiere, forare le maglie perfette della sua mente. E cosa poi? Un buffone alla corte del suo padrone, assecondato e disistimato, che si guadagna le lodi del clemente padrone. Perché avevano tutti scelto quel ruolo? Non soltanto per la dolce carezza. Anche per loro la storia era un racconto come un altro sentito troppo spesso, la propria terra un banco dei pegni.
Se Pirro non fosse caduto per mano d’una megera ad Argo o se Giulio Cesare non l’avessero accoltellato a morte. Non dobbiamo cancellarle dalla mente. Il tempo le ha marchiate, e incatenate sono ospiti in quella stanza delle infinite possibilità che esse stesse hanno rimosso. Ma son forse possibili cose che si è certi non sono mai accadute? Oppure è possibile solo quel che è avvenuto? 
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Tu, Cochrane, quale città lo mandò a chiamare?
– Taranto, professore.
– Bene. E dopo?
– C’è stata una battaglia.
– Bene. Dove?
La vacua faccia dello scolaro chiese aiuto alla vacua finestra.
Gesta favoleggiate dalle figlie della memoria. Eppure in certo qual modo come se la memoria non ne avesse parlato mai. Una frase, allora, d’impazienza, e si scatenano le ali dell’eccesso di cui parla William Blake. Sento rovinare tutto lo spazio, vetri infranti e mura che crollano, e il tempo come un’ultima livida vampata. Cosa resta per noi?
– Il posto non me lo ricordo, professore. È stata nel 279 avanti Cristo.
– Ad Ascoli, disse Stephen, sbirciando il nome e la data nel libro pieno di sgorbi.
– Sí, professore. E dopo ha detto: Un’altra vittoria cosí e siamo spacciati.
Il mondo ha ricordato quella frase. Ottusa semplificazione della mente. Da una collina sopra una piana coperta di cadaveri, un generale appoggiato alla lancia parla ai suoi ufficiali. Un generale qualsiasi parla a ufficiali qualsiasi. Loro ascoltano.
– Tu, Armstrong, disse Stephen. Com’è finito Pirro?
– Com’è finito?
– Io lo so, professore. Lo chieda a me, professore, disse Comyn.
– Calma. Tu, Armstrong. Cosa sai di Pirro?
Nella cartella di Armstrong stava infrattato un cartoccio con dolcetti ai fichi. Ogni tanto egli se ne arrotolava uno nella mano e lo inghiottiva quatto quatto. Gli restavano delle briciole sulle labbra. Fiato indolcito di ragazzo. Gente benestante, fiera che il figlio maggiore sia in Marina. Sulla Vico Road, a Dalkey.
– Pirro, professore? Pirreo, il molo.
Tutti scoppiarono a ridere. Riso d’alta malizia senza letizia. Armstrong gettò un’occhiata ai compagni intorno, torpida ilarità del profilo. Tra un attimo rideranno ancora piú forte, consci del mio scarso potere e dei quattrini sborsati dal loro papà.
– Allora, fece Stephen battendo il libro sulla spalla del ragazzo, dimmi cos’è un molo.
– Un molo, professore, disse Armstrong, è una cosa che va fuori sul mare. Una specie di ponte. Il molo di Kingstown, professore.
Qualcuno rise di nuovo, senza gioia ma con intenzione. Due dal banco di dietro sussurravano. Sí. Loro sapevano: senza aver mai imparato niente ma anche senza esser stati mai innocenti. Tutti. Osservò quelle facce invidiandole. Edith, Ethel, Gerty, Lily. Ecco le loro controparti: anche loro fiati indolciti, con tè e marmellata, la sciocca ridarella dei loro braccialetti quando litigano.
– Il molo di Kingstown, disse Stephen. Deludente come ponte.
Quelle parole resero perplesso il loro sguardo.
– Come, professore? chiese Comyn. Un ponte attraversa un fiume.
Questo per il centone di Haines. Nessuno qui ad ascoltarmi. Stasera, disinvolto, tra bevute pesanti e chiacchiere, trapassare la tersa corazza del suo comprendonio. E poi cosa? Un buffone alla corte del suo signore, trattato con indulgenza e disistima, ottiene una lode dalla clemenza del principe. Perché avevano scelto tutti quella parte? Non solo per le piacevoli carezze. Anche per loro la storia era un racconto come tanti altri, troppo spesso udito, e la loro patria un monte dei pegni.
E se Pirro non fosse caduto vittima d’una arpia in quel di Argo, o se Giulio Cesare non fosse stato accoltellato a morte? Il pensiero non può cancellare quei fatti. Il tempo li ha marchiati col suo sigillo e messi in catene, nella sala delle infinite possibilità che hanno liquidato. Ma queste possibilità come possono esser state possibili, se non ci sono mai state? Forse che il possibile è soltanto ciò che ebbe la ventura di passar via?
(Gianni Celati, 2013, Einaudi) 

 «Tu, Cochrane, quale città lo mandò a chiamare?»
«Tarentum, signore.»
«Molto bene. E poi?»
«C’è stata una battaglia, signore.»
«Molto bene. Dove?»
L’espressione vacua del ragazzo lo chiese alla vacua finestra.
Favoleggiato dalle figlie della memoria. E tuttavia in qualche modo era stato anche se non come lo favoleggiava la memoria. Un’espressione, poi, di impazienza, tonfo delle ali di eccesso di Blake. Sento la rovina di tutto lo spazio, vetro in frantumi e muri che crollano, e il tempo una livida fiamma finale. Cosa ci rimane, dopo?
«Il luogo non lo ricordo, signore. 279 a.C.»
«Asculum,» disse Stephen, gettando un’occhiata a nome e data nel libro tra gli sfregi di sangue.
«Sì, signore. E lui disse: Un’altra vittoria così e siamo finiti.»
Quella frase il mondo l’aveva ricordata. Una torpida quiete della mente. Da un’altura sopra una piana cosparsa di cadaveri un generale che parla ai suoi ufficiali, appoggiato alla lancia. Un qualsiasi generale a ufficiali qualsiasi. Gli prestano orecchio.
«Tu, Armstrong,» chiese Stephen, «quale fu la fine di Pirro?»
«Fine di Pirro, signore?»
«Io lo so, signore. Lo chieda a me, signore,» disse Comyn.
«Aspetta. Tu, Armstrong. Sai niente di Pirro?»
Nella cartella di Armstrong si celava chiotto un sacchetto di pasticcini ai fichi. Se li arrotolava tra le palme di quando in quando e li ingurgitava senza fare rumore. C’erano briciole appiccicate ai tessuti delle sue labbra. Un alito zuccherato di ragazzino. Gente bene, fiera che il figlio maggiore fosse in marina. Vico Road, Dalkey.
«Pirro, signore? Pir... pier. Un molo.»
Tutti risero. Un riso senza allegria, forte, malevolo. Armstrong fece girare lo sguardo sui compagni di classe, stolida gaiezza di profilo. Fra un attimo rideranno più forte, consci della mia mancanza di polso e delle rette che pagano i loro papà.
«Allora spiegami,» disse Stephen, dando un colpetto con il libro sulla spalla del ragazzo, «cos’è un molo?»
«Un molo, signore,» rispose Armstrong. «Una cosa che si allunga nelle onde. Una specie di ponte. Il molo di Kingstown, signore.»
Alcuni risero di nuovo, senza allegria ma con intenzione. Due nel banco di fondo bisbigliavano. Sì. Sapevano: senza aver mai imparato ed essere mai stati innocenti. Tutti. Con invidia osservò i loro volti: Edith, Ethel, Gerty, Lily. Le loro simili: anche loro con l’alito zuccherato da tè e marmellata, risolini sciocchi di braccialetti che si azzuffano.
«Il molo di Kingstown,» disse Stephen. «Sì, un ponte mancato.»
Le parole turbarono il loro sguardo.
«Come, signore?» chiese Comyn. «Un ponte passa attraverso un fiume.»
Per il libercolo di Haines. Nessuno qui a sentirla. Questa sera destramente tra folli bevute e chiacchiere, per perforare la levigata maglia della sua mente. E poi? Un buffone alla corte del suo signore, viziato e disprezzato, che si guadagna una lode del clemente padrone. Perché avevano scelto tutti quella parte? Non soltanto per la morbida carezza. Anche per loro la storia era una fola come qualsiasi altra troppo spesso sentita, la loro terra un banco dei pegni.
Se Pirro non fosse morto per mano di una megera ad Argo o Giulio Cesare non fosse stato pugnalato a morte. Cose che non potremo mai toglierci dal pensiero. Il tempo le ha marchiate, e in ceppi sono confinate nella stanza delle infinite possibilità che esse escludono. Ma possono essere state possibili visto che non sono mai state? O è possibile soltanto quanto è accaduto?
(Mario Biondi, 2020, La nave di Teseo)

domenica 11 ottobre 2020

La traduzione di Mario Biondi

Avendo concluso le nostre puntate del Ritratto di Ulisse sul primo episodio (Telemaco) del romanzo di Joyce, ci è sembrato doveroso interpellare l'autore della ultima traduzione edita nel giugno del 2020 da La Nave di Teseo: Mario Biondi. 

Ringraziamo ancora l'autore milanese, che ci ha concesso una lunga, piacevole nonché illuminante conversazione, non solo raccontandoci del suo lavoro di scrittore e traduttore, ma consentendoci anche di entrare nel vivo di questo testo così affascinante.

Di seguito i link per Youtube e Spotify:





martedì 22 settembre 2020

#26 Un tuffo


Tuffatore - Rodcenko 1934 
Mentre Mulligan, fra battute e pettegolezzi, compie il suo virile rituale mattutino del tuffo fra le rocce della baia, Stephen si congeda da lui e Haines per non tornare più alla torre di Sandycove. Così si chiude il primo episodio dell'Ulisse.

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Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Two men stood at the verge of the cliff, watching: businessman, boatman.
— She's making for Bullock harbour.
The boatman nodded towards the north of the bay with some disdain.
— There's five fathoms out there, he said. It'll be swept up that way when the tide comes in about one. It's nine days today.
The man that was drowned. A sail veering about the blank bay waiting for a swollen bundle to bob up, roll over to the sun a puffy face, saltwhite. Here I am.
They followed the winding path down to the creek. Buck Mulligan stood on a stone, in shirtsleeves, his unclipped tie rippling over his shoulder. A young man clinging to a spur of rock near him, moved slowly frogwise his green legs in the deep jelly of the water.
— Is the brother with you, Malachi?
— Down in Westmeath. With the Bannons.
— Still there? I got a card from Bannon. Says he found a sweet young thing down there. Photo girl he calls her.
— Snapshot, eh? Brief exposure.
[...]
— Seymour's back in town, the young man said, grasping again his spur of rock. Chucked medicine and going in for the army.
— Ah, go to God! Buck Mulligan said.
— Going over next week to stew. You know that red Carlisle girl, Lily?
— Yes.
— Spooning with him last night on the pier. The father is rotto with money.
— Is she up the pole?
— Better ask Seymour that.
— Seymour a bleeding officer! Buck Mulligan said.
He nodded to himself as he drew off his trousers and stood up, saying tritely:
— Redheaded women buck like goats.
He broke off in alarm, feeling his side under his flapping shirt.
— My twelfth rib is gone, he cried. I'm the Uebermensch. Toothless Kinch and I, the supermen.
He struggled out of his shirt and flung it behind him to where his clothes lay.
[...]
— Give us that key, Kinch, Buck Mulligan said, to keep my chemise flat.
Stephen handed him the key. Buck Mulligan laid it across his heaped clothes.
— And twopence, he said, for a pint. Throw it there.
Stephen threw two pennies on the soft heap. Dressing, undressing. Buck Mulligan erect, with joined hands before him, said solemnly:
— He who stealeth from the poor lendeth to the Lord. Thus spake Zarathustra.
His plump body plunged.
— We'll see you again, Haines said, turning as Stephen walked up the path and smiling at wild Irish.
Horn of a bull, hoof of a horse, smile of a Saxon.
[...]
A voice, sweettoned and sustained, called to him from the sea. Turning the curve he waved his hand. It called again. A sleek brown head, a seal's, far out on the water, round.
Usurper.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Due uomini ritti sull’orlo della scogliera, guardavano intenti: uomo d’affari, barcaiolo.
– È diretta verso Bullock harbour.
Il barcaiolo accennò verso il nord della baia con una certa degnazione.
– Son cinque tese laggiù, disse. Sarà trascinato da quella parte quando salirà la marea verso l’una. Sono nove giorni oggi.
L’uomo che era annegato. Una vela virava nella baia vuota in attesa che un gonfio fagotto venisse a galla, rivoltolasse al sole un volto tumefatto, biancosalino. Eccomi.
Scesero lungo il sentiero serpeggiante fino alla caletta. Buck Mulligan era ritto su un masso, in maniche di camicia, la cravatta senza fermaglio sventolante su una spalla. Un giovanotto aggrappato a uno sprone roccioso vicino a lui muoveva lentamente a guisa di rana le gambe verdi nella fonda gelatina dell’acqua.
– Tuo fratello è con te, Malachi?
– È giù a Westmeath. Coi Bannon.
– Ancora là? Ho avuto una cartolina da Bannon. Dice che ha trovato una piccola dolce pupetta laggiù. Ragazza da foto la chiama lui.
– Istantanea, eh? Posa breve.
[...]
– Seymour è tornato in città, disse il giovane riafferrando il suo sperone di roccia. Ha piantato la medicina e si dà alla carriera militare.
– Oh, va’ con Dio! disse Buck Mulligan.
– Parte la settimana prossima per fare la sgobbata. Conosci quella rossa di Carlisle, Lily?
– Sì.
– Filava con lui ieri sera sul molo. Il padre è fradicio di soldi.
– Si è fatta inguaiare?
– Bisognerebbe domandarlo a Seymour.
– Seymour fottuto ufficiale! disse Buck Mulligan.
Annuì a se stesso mentre si sfilava i pantaloni e, alzandosi in piedi, diceva l’adagio:
– Le rosse di pelo cozzano come capre.
S’interruppe spaventato, palpandosi un fianco sotto la camicia svolazzante.
– La mia dodicesima costola è scomparsa, gridò. Sono l’Übermensch. Kinch lo sdentato e io, i superuomini.
Si districò dalla camicia e se la gettò dietro le spalle dove si ammucchiavano i suoi vestiti.
[...]
– Dacci quella chiave, Kinch, disse Buck Mulligan, per tenere distesa la camicia.
Stephen gli porse la chiave. Buck Mulligan la posò di traverso sul mucchio dei vestiti.
– E due pence, disse, per una pinta. Buttali lì.
Stephen buttò due monete sul soffice mucchio. Vestirsi, svestirsi. Buck Mulligan eretto, con le mani giunte davanti a sé, disse solennemente:
– Chi ruba al povero presta al Signore. Così parlò Zarathustra.
Il suo corpo paffuto si tuffò.
– Ci rivedremo, disse Haines, voltandosi e sorridendo dei pazzi irlandesi mentre Stephen risaliva il sentiero.
Corno del toro, zoccolo del cavallo, sorriso del sassone.
[...]
Una voce, dolcecanora e tenuta, lo chiamò dal mare. Alla svolta egli sventolò la mano. Quella chiamò ancora. Una testa bruna liscia, di foca, al largo sul mare, tonda.
Usurpatore.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Due uomini erano fermi sull’orlo della scogliera, a guardare: uomo d’affari, barcaiolo.
– È diretta a Bullock harbour.
Il barcaiolo indicò col volto il nord della baia mostrando un certo disprezzo.
– È profondo cinque braccia laggiù, disse. Lo porterà in quella direzione al salire della marea, intorno all’una. Oggi sono nove giorni.
L’annegato. Una vela cambiava rotta su e giù per la baia libera in attesa che spuntasse fuori un fagotto rigonfio, a rigirarsi verso il sole con la faccia tumefatta, bianca come il sale. Eccomi.
Seguirono il sentiero ondulato fino all’insenatura. Buck Mulligan immobile su un masso, in maniche di camicia, il cravattino slacciato ondeggiante sulla spalla. Un giovane si aggrappava a uno sperone di roccia vicino a lui, muoveva lentamente come una rana le sue gambe verdi nella profonda acqua gelatinosa.
– È con te tuo fratello, Malachi?
– Sta giù nel Westmeath. Dai Bannon.
– Ancora lì? Ho ricevuto una cartolina da Bannon. Dice che ha trovato una dolce fanciullina, laggiù. La chiama la ragazza della foto.
– Istantanea, eh? Esposizione breve.
[...]
– Seymour è tornato in città, disse il giovane, abbracciando ancora il suo sperone di roccia. Ha mollato medicina e s’è arruolato in esercito.
– Ah, Dio lo accolga, disse Buck Mulligan.
– Ci vado la settimana prossima a sfacchinare. La conosci quella rossa di Carlisle, Lily?
– Sì.
– Stava a limonare con lui ieri sera sul molo. Il padre è rotto di soldi.
– L’ha messa nei guai?
– Meglio chiederlo a Seymour.
– Seymour, stramaledetto soldato, disse Buck Mulligan.
Annuì tra sé e sé nel togliersi i pantaloni e alzandosi in piedi, dicendo banalmente:
– Le donne dai capelli rossi sgroppano come capre.
Si fermò allarmato, tastandosi il fianco sotto la camicia svolazzante.
– La mia dodicesima costola, non c’è più, gridò. Sono l’Übermensch. Kinch senza incisivi ed io, i superuomini.
Si divincolò dalla camicia e la lanciò dietro di sé dove giacevano i suoi vestiti.
[...]
– Dammi la chiave, Kinch, disse Mulligan, per tenere la camicia stesa.
Stephen gli porse la chiave. Mulligan la ripose tra i vestiti ammucchiati.
– E due pence, disse, per una pinta. Lanciali lì.
Stephen lanciò due penny sul soffice cumulo. Vestirsi, svestirsi. Buck Mulligan eretto, con le mani giunte di fronte, disse solennemente:
– Colui che ruba ai poveri presta al Signore. Così parlò Zarathustra.
Il suo corpo pingue si tuffò.
– Arrivederci, disse Haines, voltandosi mentre Stephen camminava lungo il sentiero, e sorridendo alla sregolatezza irlandese.
Corno di un toro, zoccolo di un cavallo, sorriso di un sassone.
[...]
Una voce, dal tono dolce e sostenuto, lo evocava dal mare. Voltando la curva salutò con la mano. Evocò di nuovo. Una testa dai capelli lisci e bruni, da foca, lontano nell’acqua, rotonda.
Usurpatore.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Due uomini ritti sul bordo della scogliera guardavano; un trafficante, un barcaiolo.
– Va verso Bullock Harbour.
Il barcaiolo accennò col capo verso il nord della baia, in modo un po’ sdegnoso.
– Laggiú c’è una profondità di cinque tese, disse. Quando verso l’una verrà l’alta marea, lo trascinerà da quella parte. Oggi sono nove giorni.
Una vela virava qua e là nella baia vuota, in attesa che affiorasse un fagotto rigonfio, rivoltandosi sotto il sole col viso tumefatto, bianco di sale.
Seguirono il sentiero serpeggiante giú fino alla cala. Buck Mulligan era in piedi su un masso, in maniche di camicia, la cravatta sciolta che gli svolazzava sulla spalla. Vicino a lui, aggrappato a uno spuntone di roccia, un giovanotto agitava lento, con mosse da rana, le gambe verdi immerse nell’acqua fonda e gelatinosa.
– Tuo fratello è da te, Malachi?
– No, giú a Westmeath con i Bannon.
– Ancora là? Ho ricevuto una cartolina da Bannon. Dice che s’è trovato una morosina laggiú. Una bellezza da foto, la chiama lui.
– Da istantanea, no? Esposizione breve.
[...]
– Seymour è tornato, è in città, disse il giovanotto, aggrappandosi di nuovo allo spuntone di roccia. Molla la medicina e s’arruola nell’esercito.
– Oh, vacca boia! fece Buck Mulligan.
– La settimana prossima è già là a sbiellarsi. Sai la rossa di Carlisle, Lily?
– Sí.
– Be’, ieri sera sul molo se lo filava. Suo padre ha i soldi che gli escono dalle orecchie.
– Si è fatta ingolfare?
– Chiedilo a Seymour.
– Seymour che diventa uno stronzo d’ufficiale! esclamò Buck Mulligan.
Annuí alle proprie parole mentre si levava i calzoni, poi alzandosi disse la battuta:
– Le rosse ci dan dentro come capre…
S’interruppe impaurito, tastandosi il fianco sotto la camicia svolazzante.
– Oh! Non ho piú la dodicesima costola! gridò. Sono l’Übermensch! Lo sdentato Kinch e io, siamo i superuomini.
Si divincolò per uscire dalla camicia, buttandola poi dietro di sé, nel mucchio dei suoi panni.
[...]
Stephen si voltò e disse:
– Mulligan, io vado.
– Kinch, lasciaci la chiave, fece Buck Mulligan, serve a tener ferma la mia camicia.
Stephen gli passò la chiave, e Buck Mulligan la mise di traverso sul mucchio dei panni.
– E due pence per una birra, disse. Buttali lí.
Stephen buttò due spiccioli sul soffice mucchio. Vestirsi, svestirsi. In posizione eretta, le mani giunte davanti a sé, Buck Mulligan disse solennemente:
– Chi ruba al povero presta all’Eterno. Cosí parlò Zarathustra.
Il suo corpo grassoccio piombò nell’acqua.
– Ci vediamo piú tardi, disse Haines voltandosi e sorridendo di quei pazzi irlandesi, mentre Stephen risaliva il sentiero.
Attento alle corna di toro, agli zoccoli di cavallo e ai sorrisi d’un sassone.
[...]
Una voce a note dolci e sostenute lo chiamava dal mare. Al tornante salutò con la mano. La voce chiamò di nuovo. Una testa liscia, bruna, testa di foca, al largo sul mare, rotonda.
Usurpatore.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi) 

Come promesso ecco le foto dell'accesso a mare chiamato "The Creek" da dove si tufferà Buck Mulligan. Le foto sono tratte da joyceproject.com



 

domenica 26 luglio 2020

#25 Gli eretici


S. Michele Arcangelo
(Guido Reni 1635)
In un rincorrersi di peregrini pensieri pensieri, arcangeli armati e messe polifoniche, gli eresiarchi tessono trame contro i dogmi della chiesa apostolica romana. Riusciranno gli angeli di Dio a scacciare gli angeli di Lucifero? La minaccia reale è nel vento dell'eresia o nell'immobilità dall'ortodossia?

Per guardare questo e gli altri video su Youtube, clicca qui sotto:
https://www.youtube.com/playlist?list=PLJBcZmWWmlya9nyJ_RDBq3WOnW6twdmYo

La versione in podcast è disponibile su Spotify qui:
https://open.spotify.com/show/05nniQWDcnUfLNkUJ9LXWR?si=U2cFdX26S0etdDljPP2zGQ


Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
The proud potent titles clanged over Stephen's memory the triumph of their brazen bells: et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam: the slow growth and change of rite and dogma like his own rare thoughts, a chemistry of stars. Symbol of the apostles in the mass for pope Marcellus, the voices blended, singing alone loud in affirmation: and behind their chant the vigilant angel of the church militant disarmed and menaced her heresiarchs. A horde of heresies fleeing with mitres awry: Photius and the brood of mockers of whom Mulligan was one, and Arius, warring his life long upon the consubstantiality of the Son with the Father, and Valentine, spurning Christ's terrene body, and the subtle African heresiarch Sabellius who held that the Father was Himself His own Son. Words Mulligan had spoken a moment since in mockery to the stranger. Idle mockery. The void awaits surely all them that weave the wind: a menace, a disarming and a worsting from those embattled angels of the church, Michael's host, who defend her ever in the hour of conflict with their lances and their shields.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Gli alteri, possenti attributi fecero rimbombare nella memoria di Stephen il trionfo delle loro bronzee campane: et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam: il lento evolversi e mutare del rito e del dogma simili ai suoi peregrini pensieri, alchimia di stelle. Simbolo degli apostoli nella messa di papa Marcello, le voci fuse, ciascuna cantando forte nell’asserzione: e dietro il loro cantico l’angelo di scolta della chiesa militante disarmava e minacciava gli eresiarchi. Una torma di eresie in fuga con le mitrie a sghimbescio: Fozio e la genia di schernitori uno dei quali era Mulligan, e Ario, che aveva battagliato tutta la vita sulla consustanzialità del Figlio col Padre, e Valentino, che spregiava il corpo terreno del Cristo, e il sottile eresiarca africano Sabellio che sosteneva che il Padre era Figlio di Se Stesso. Parole che Mulligan aveva detto un minuto prima per canzonatura all’estraneo. Vana canzonatura. Il vuoto incombe certamente su tutti quelli che tessono il vento: minacciati, disarmati e sconfitti dagli angeli della chiesa schierati in battaglia, l’oste armata di Michele, che la difende sempre nell’ora del conflitto, con lance e usberghi.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Quegli appellativi possenti e orgogliosi risuonavano in modo fragoroso nella memoria di Stephen le loro trionfanti campane di bronzo: et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam: la lenta ascesa e il mutamento del rituale e del dogma come i suoi rarefatti pensieri, una chimica di stelle. Simboli di apostoli nella messa per papa Marcello, le voci si unirono, cantando da sole in sonora affermazione: e dietro il loro canto il vigilante angelo della chiesa militante disarmò e minacciò gli eresiarchi. Un’orda di eresie in fuga con le mitrie di traverso: Fozio e il branco degli schernitori, di cui uno era Mulligan, e Ario, che combatté tutta la vita contro la consustanzialità del Figlio e del Padre, e Valentino, che rifiutava sdegnato il corpo terreno di Cristo, e il sottile eresiarca africano Sabellio, il quale sosteneva che il Padre fosse Egli Stesso il Suo proprio Figlio. Parole che Mulligan aveva da poco rivolto allo straniero tanto per ridere. Inutili risate. Il vuoto attende ovviamente chiunque tessa il vento: una minaccia, un disarmare e sconfiggere da parte di quegli angeli della chiesa schierati a battaglia, gli eserciti di Michele, sempre suoi difensori nell’ora del conflitto con le loro lance e i loro scudi.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
A quei possenti e pomposi titoli riecheggiò nella memoria di Stephen il trionfo delle loro bronzee campane: et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam: il lento crescere e mutare del rito e del dogma, come i suoi peregrini pensieri, un’alchimia di stelle. Simboli di Apostoli nella messa per papa Marcello, voci miste, ciascuna cantando vocianti asserzioni. Dietro il loro cantico, il vigilante angelo della chiesa militante disarmava e minacciava eresiarchi. Un’orda d’eresie in fuga, con le mitrie a sghimbescio: Fozio e la genía dei burlatori, tra cui Mulligan e Ario in guerra perpetua contro la consustanzialità del Figlio col Padre, e Valentino sdegnoso a sentir dire del corpo terreno di Cristo, e il sottile eresiarca africano Sabellio convinto che il Padre fosse egli stesso il proprio Figlio. Parole dette da Mulligan un momento prima, per canzonar lo straniero. Canzonatura vana. Certo, il vuoto attende quelli che tessono vento: minacciati, disarmati e sconfitti da questi angeli della chiesa in ordine di battaglia, la coorte di Michele, che sempre nell’ora del conflitto la difende con lance e scudi.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ecco a confronto il credo apostolico e quello niceno:
(Credo apostolico)
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra
e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. Amen.
(Credo niceno-costantinopoliano)
Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù
Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre
prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero
da Dio vero, generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono
state create.
Per noi uomini e per la nostra
salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine
Maria e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio
Pilato, mori e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture, è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti, e il suo
regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita, e procede
dal Padre e dal Figlio. Con il Padre
e il Figlio è adorato e glorificato, e
ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa
cattolica e apostolica.
Professo un solo Battesimo per il
perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen. 
Dalla Divina Commedia di Dante è stato citato il 7° canto dell'Inferno:
«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,

disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia».

Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,
e disse: «Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.

Non è sanza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto, là dove Michele
fé la vendetta del superbo strupo».
E il 4° canto del Paradiso:
Così parlar conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d’intelletto degno.

Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio, e altro intende;

e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano.  
E infine è stata citata l'Apocalisse (12:7-9):
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.

venerdì 12 giugno 2020

Ritratto di Ulisse al Bloomsday 2020 di Trieste

Riproponiamo la diretta live dell'incontro con i professori Sara Sullam e Enrico Terrinoni, gentilmente ospitati da Riccardo Cepach, per il Bloomsday triestino del 16 giugno 2020, a parlare del 14° episodio: Oxen of the sun.

Questi i link della rassegna che si trasmessi in diretta facebook:

http://museojoycetrieste.it/bloomsday-2020/

https://www.facebook.com/MuseoSvevoJoyce

Il testo che abbiamo commentato è stato "An Irish bull in an English chinashop".

Di seguito i link per vedere l'incontro su Youtube o ascoltarlo su Spotify:





mercoledì 3 giugno 2020

#24 Servo di tre padroni


Arlequin (Cézanne 1888)
Il percorso di emancipazione ed esilio volontario di Stephen Dedalus, lo ha riportato fra le reti della Dublino che lo opprimeva, lo ha reso nuovamente servo dei padroni che non voleva più servire. Forse il suo viaggio di liberazione prevede un passaggio iniziatico dall'assoggettamento? O forse il viaggio è stato semplicemente abortito?

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Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
— [...] Either you believe or you don't, isn't it? Personally I couldn't stomach that idea of a personal God. You don't stand for that, I suppose?
— You behold in me, Stephen said with grim displeasure, a horrible example of free thought.
He walked on, waiting to be spoken to, trailing his ashplant by his side. Its ferrule followed lightly on the path, squealing at his heels. My familiar, after me, calling, Steeeeeeeeeeeephen! A wavering line along the path. They will walk on it tonight, coming here in the dark. He wants that key. It is mine. I paid the rent. Now I eat his salt bread. Give him the key too. All. He will ask for it. That was in his eyes.
— After all, Haines began...
Stephen turned and saw that the cold gaze which had measured him was not all unkind.
— After all, I should think you are able to free yourself. You are your own master, it seems to me.
— I am the servant of two masters, Stephen said, an English and an Italian.
— Italian? Haines said.
A crazy queen, old and jealous. Kneel down before me.
— And a third, Stephen said, there is who wants me for odd jobs.
— Italian? Haines said again. What do you mean?
— The imperial British state, Stephen answered, his colour rising, and the holy Roman catholic and apostolic church.
Haines detached from his underlip some fibres of tobacco before he spoke.
— I can quite understand that, he said calmly. An Irishman must think like that, I daresay. We feel in England that we have treated you rather unfairly. It seems history is to blame.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– [...] O si crede o non si crede, vero? Personalmente non potrei mandare giù quell’idea di un Dio personale. Lei non l’accetta, immagino.
– Lei contempla in me, disse Stephen con un ostico disgusto, un orribile esempio di libero pensiero.
Seguitò a camminare, aspettando che gli si rivolgesse la parola e trascinandosi dietro il bastone. Il puntale lo seguiva leggermente sul sentiero squittendogli alle calcagna. Il mio spirito familiare, dietro di me, che chiama Steeeeeeeephen. Una linea ondulata lungo il sentiero. Ci cammineranno sopra stasera, venendo qui al buio. Vuole quella chiave. È mia, ho pagato io l’affitto. E ora mangio il suo pane che sa di sale. Dagli anche la chiave. Tutto. La chiederà. Questo era nei suoi occhi.
– Dopo tutto, cominciò Haines…
Stephen si voltò e vide che il freddo sguardo che lo aveva misurato non era del tutto malevolo.
– Dopo tutto, direi che si è sempre in grado di liberarsi. Si è padroni di se stessi, mi pare.
– Sono servo di due padroni, disse Stephen, un inglese e una italiana.
– Italiana? disse Haines.
Una babilonica sovrana vecchia e gelosa. Inginocchiati davanti a me.
– E ce n’è un terzo, disse Stephen, che mi vuole per lavori spiccioli.
– Italiana? ripete Haines. Che vuol dire?
– Il governo imperiale britannico, rispose Stephen, accendendosi in volto, e la santa chiesa cattolica apostolica romana.
Prima di parlare, Haines si staccò dal labbro inferiore qualche filo di tabacco.
– Capisco perfettamente, disse calmo. Un irlandese deve pensarla così, direi. Noi in Inghilterra sentiamo di avervi trattato piuttosto ingiustamente. Parrebbe che la colpa sia della storia.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– [...] O credi oppure no, ovvio. Personalmente non mi va giù l’idea di un Dio personale. Nemmeno lei è d’accordo, suppongo?
– Lei vede in me, disse Stephen con mesto disappunto, un orribile esempio di libero pensiero.
Proseguì, attendendo che gli si parlasse, strascinando al fianco il bastone di frassino. Il suo puntale seguiva leggero sul sentiero, stridendo alle calcagna. Il mio demone familiare, dietro di me, che chiama Steeeeeeeeeeeephen. Una linea vacillante lungo il sentiero. Lo calpesteranno stanotte, loro, tornando qui nell’oscurità. Vuole quella chiave. È mia, l’ho pagato io l’affitto. Ora mangio il suo pane che sa di sale. Dàgli anche la chiave. Tutto. Te la chiederà. Ce l’aveva scritto negli occhi.
– Dopo tutto, cominciò Haines...
Stephen si voltò e scorse lo sguardo freddo non del tutto cattivo che aveva preso le sue misure.
– Dopo tutto, devo immaginare che lei sia in grado di liberarsene. È lei il padrone di se stesso, mi sembra.
– Io sono il servitore di due padroni, disse Stephen, uno inglese ed uno italiano.
– Italiano? disse Haines.
Una regina pazza, vecchia e gelosa. Inginocchiati di fronte a me.
– E ce n’è un terzo, disse Stephen, che mi vuole per ogni tipo di lavoretti occasionali.
– Italiano? disse ancora Haines. Che cosa intende?
– Lo stato imperiale britannico, rispose Stephen, col colorito che si accendeva, e la santa Chiesa cattolica e apostolica romana.
Haines ripulì il labbro inferiore da alcuni fili di tabacco prima di parlare.
– Mi sembra di capire, disse calmo. Un irlandese deve vederla così, oserei dire. A noi pare, in Inghilterra, di avervi trattato piuttosto ingiustamente. Colpa della storia, apparentemente.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– [...]Uno crede o non crede, no? Personalmente io non riesco a mandar giú l’idea di un Dio personale. Ma non è la sua idea, immagino.
– Lei vede in me, disse Stephen con cupo malumore, un orrendo esempio di libero pensiero.
Continuò a camminare, aspettando una replica, trascinandosi il bastone al fianco. Il puntale lo seguiva lieve sul sentiero, stridendo alle sue spalle. Spiritello che mi segui chiamando: Steeeeeeeeeephen. Linea ondeggiante sul sentiero. Stanotte la pesteranno, tornando per di qui nel buio. Vuole la chiave. È mia, ho pagato l’affitto. Ora sento come sa di sale lo pane altrui.
Dàgli anche la chiave. Tutto. Te la chiederà. Era nei suoi occhi.
– Insomma, iniziò Haines…
Voltandosi Stephen vide che il freddo sguardo che l’aveva squadrato non era poi del tutto antipatico.
– Insomma, direi che lei sia in grado di liberarsi. Lei è padrone di se stesso, mi pare.
– Io sono il servo di due padroni, disse Stephen, uno inglese e uno italiano.
– Italiano? chiese Haines.
Una regina picchiata in testa, vecchia e gelosa. Inginòcchiati davanti a me.
– E ce n’è un terzo, disse Stephen, che mi cerca per i lavoretti occasionali.
– Italiano? ripeté Haines. Cosa intende?
– Lo Stato Imperiale Britannico, rispose Stephen, colorandosi in viso, e la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica Romana.
Prima di parlare, Haines si tolse dal labbro inferiore poche briciole di tabacco.
– Capisco, fece con tutta calma. Un irlandese deve pensarla cosí, oserei dire. In Inghilterra ci rendiamo conto d’avervi trattati in modo alquanto ingiusto. Colpa della Storia, pare.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Dalla Divina Commedia di Dante è stato citato il 17° canto del Paradiso:
Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
E il 27° canto del Purgatorio:
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:  
per ch’io te sovra te corono e mitrio»
Sono state fatte alcune citazioni dal quinto capitolo del Ritratto dell'artista da giovane:
«I miei antenati rinnegarono la loro lingua e ne presero un’altra», disse Stephen. «Permisero a un pugno di stranieri di sottometterli. Ti immagini che io intenda pagare con la mia vita e con la mia persona debiti fatti da loro? E per che cosa?»
«Per la nostra libertà», disse Davin.
«Non esiste un solo uomo d’onore e sincero», disse Stephen, «che sacrificandovi vita, gioventù e affetti, dai giorni di Tone a quelli di Parnell, voi non abbiate venduto al nemico o abbandonato nel bisogno o insultato e lasciato per un altro. E mi inviti a essere uno dei vostri. Andate tutti all’inferno, prima.»
«Sono morti per i loro ideali, Stevie», disse Davin. «Pure, il nostro giorno verrà, credimi.»
Stephen, seguendo un suo pensiero, tacque per un istante.
«L’anima dapprima nasce», disse ambiguamente, «in quei momenti di cui ti ho parlato. Ha una nascita lenta e oscura, più misteriosa della nascita del corpo. Quando nasce l’anima di un uomo in questo paese, le vengono gettate reti per impedirle di fuggire. Mi parli di nazionalità, di lingua, di religione. Io cercherò di sfuggire a quelle reti.»
Davin scosse la cenere dalla pipa.
«È troppo profondo per me, Stevie», disse. «Ma la patria viene prima. Prima lIrlanda, Stevie. Poi potrai essere poeta o mistico.»
«Sai cos’è l'Irlanda?», chiese Stephen con fredda violenza. «L’Irlanda è la vecchia scrofa che si mangia la sua figliata.» 
Questo è il riferimento dal vangelo di Matteo (6:24)
"Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona."
Infine ecco la statua di Joyce col suo bastone (ashplant) in Talbot Street a Dublino

mercoledì 6 maggio 2020

#23 Addio alla torre


La torre rossa - De Chirico 1913
Arriva il momento di uscire dalla torre, il luogo dove si è svolto quasi l'intero primo episodio del romanzo. Dedalus chiude la torre e ne custodisce la chiave, Mulligan si prepara al suo bagno mattutino nella baia e Haines ne approfitta per porre alcune domande sul bizzarro domicilio che li ha ospitati.

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Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
He stood up, gravely ungirdled and disrobed himself of his gown, saying resignedly:
— Mulligan is stripped of his garments.
He emptied his pockets on to the table.
— There's your snotrag, he said.
And putting on his stiff collar and rebellious tie he spoke to them, chiding them, and to his dangling watchchain. His hands plunged and rummaged in his trunk while he called for a clean handkerchief. God, we'll simply have to dress the character. I want puce gloves and green boots. Contradiction. Do I contradict myself? Very well then, I contradict myself. Mercurial Malachi. A limp black missile flew out of his talking hands.
— And there's your Latin quarter hat, he said.
Stephen picked it up and put it on. Haines called to them from the doorway:
— Are you coming, you fellows?
— I'm ready, Buck Mulligan answered, going towards the door. Come out, Kinch. You have eaten all we left, I suppose. Resigned he passed out with grave words and gait, saying, wellnigh with sorrow:
— And going forth he met Butterly.
Stephen, taking his ashplant from its leaningplace, followed them out and, as they went down the ladder, pulled to the slow iron door and locked it. He put the huge key in his inner pocket.
At the foot of the ladder Buck Mulligan asked:
— Did you bring the key?
— I have it, Stephen said, preceding them.
He walked on. Behind him he heard Buck Mulligan club with his heavy bathtowel the leader shoots of ferns or grasses.
— Down, sir! How dare you, sir!
Haines asked:
— Do you pay rent for this tower?
— Twelve quid, Buck Mulligan said.
— To the secretary of state for war, Stephen added over his shoulder.
They halted while Haines surveyed the tower and said at last:
— Rather bleak in wintertime, I should say. Martello you call it?
— Billy Pitt had them built, Buck Mulligan said, when the French were on the sea. But ours is the omphalos.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Si alzò, solennemente discinto si spogliò della vestaglia, dicendo rassegnato:
– Ecco Mulligan dispogliato dei suoi paramenti.
Vuotò le tasche sul tavolo.
– Ecco il tuo moccichino, disse.
E mettendosi il colletto duro e la cravatta ribelle, parlò a loro, rampognandoli, e alla catena dell’orologio ciondolante. Le mani si affondarono e frugarono nel baule mentre reclamava un fazzoletto pulito. Dio, non rimane che vestirsi in carattere. Ho bisogno di guanti color pulce e di stivali verdi. Contraddizione. Mi contraddico? Benissimo, sì mi contraddico. Mercuriale Malachi. Un missile floscio e nero partì in volo dalle sue mani parlanti.
– Ed ecco il tuo cappello da Quartiere Latino, disse.
Stephen lo raccattò e se lo mise. Haines li chiamò dalla soglia:
– Venite, giovanotti?
– Io sono pronto, rispose Buck Mulligan, andando verso la porta. Vieni, Kinch. Hai mangiato tutto quel che abbiamo lasciato, immagino.
Rassegnato uscì con gravità di parole e di incedere, dicendo, quasiché con dolore:
– E uscendo in campo s’imbatté in Butterly.
Stephen, prendendo il bastone di frassino dal luogo d’appoggio, li seguì e, mentre scendevano la scala a pioli, si tirò dietro la lenta porta di ferro e chiuse la serratura. Mise la grossa chiave nella tasca interna.
Ai piedi della scala Buck Mulligan domandò:
– Hai preso la chiave?
– Ce l’ho, disse Stephen, precedendoli.
Camminò avanti. Sentiva dietro di sé Buck Mulligan percuotere col pesante asciugamano le cime più alte delle felci o delle erbe.
– Giù, cuccia. Come ardisci, canaglia?
Haines domandò:
– Pagate l’affitto per questa torre?
– Dodici sterline, disse Buck Mulligan.
– Al ministro della guerra, aggiunse Stephen voltando la testa.
Si fermarono mentre Haines contemplava la torre finché disse:
– Piuttosto desolata d’inverno, direi. Martello la chiamate?
– Le ha fatte costruire Billy Pitt, disse Buck Mulligan, quando i francesi correvano il mare. Ma la nostra è l’omphalos.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
In piedi, si slacciò gravemente la cintura togliendosi la vestaglia, e disse rassegnato:
– Mulligan è spogliato delle sue vesti.
Svuotò le tasche sul tavolo.
– Ecco il tuo straccio da naso, fece.
E indossando il colletto rigido e la cravatta fuori posto parlò a loro, rimproverandoli, e alla catena penzoloni dell’orologio. Le mani si tuffarono e rovistarono nel baule in cerca di un fazzoletto pulito. Morsi dell’anima. Dio, bisogna semplicemente vestire il personaggio. Voglio guanti color pulce e stivali verdi. Contraddizione. Io mi contraddico? Molto bene allora, io mi contraddico. Malachi mercuriale. Un proiettile nero e floscio prese il volo dalle sue mani parlanti.
– Ed eccoti il tuo cappello da quartiere latino, disse.
Stephen lo raccolse e se lo mise in testa. Haines li chiamò dall’uscio:
– Venite con me, gente?
– Sono pronto, rispose Mulligan, dirigendosi verso la porta. Esci fuori, Kinch. Ti sei mangiato tutti i nostri avanzi, immagino. Rassegnato scomparve con parole e andatura gravi, dicendo, quasi con dolore:
– E uscito all’aperto, occorse un accidente.
Stephen, prendendo il suo bastone di frassino dal posto in cui giaceva, li seguì fuori, e mentre scendevano giù per le scale, tirò a sé il lento portone di ferro e lo serrò. Si infilò l’enorme chiave nel taschino interno.
Ai piedi della scala Buck Mulligan chiese:
– Hai preso la chiave?
– Ce l’ho, disse Stephen precedendoli.
Continuò a camminare. Dietro di lui sentiva Buck Mulligan sferzare col suo asciugamano pesante i germogli in alto delle felci e delle erbe.
– Stia giù, signore. Come osa, signore.
Haines chiese:
– Paga un affitto per questa torre?
– Dodici sterline, disse Buck Mulligan.
– Al ministro della Guerra, aggiunse Stephen voltando la testa.
Si fermarono mentre Haines squadrava la torre, e alla fine disse:
– Piuttosto desolata d’inverno, direi. La chiamate Martello, vero?
– Le ha costruite Billy Pitt, disse Buck Mulligan, quando i francesi erano in mare. Ma la nostra è l’omphalos.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Si alzò, con aria grave si sciolse la cintura e levò la vestaglia, poi disse da uomo rassegnato:
– Ecco qua Mulligan spogliato dei suoi paramenti.
Si vuotò le tasche sul tavolo.
– Qua, prenditi il tuo asciuga-moccio, disse.
E mentre si metteva il colletto duro e la cravatta ribelle, apostrofò le cose sgridandole e prendendosela con la penzolante catena dell’orologio. Indi affondò le mani nel baule, frugando e invocando un fazzoletto pulito. Dio, l’unica è trovarsi un vestito adatto per recitar la parte. Voglio guanti cremisi e scarponcini verdi. Contraddizione! Mi contraddico? Ebbe’, sia… Mercuriale Malachi! Un floscio missile nero volò dalle sue mani impegnate a far discorsi:
– Prenditi il tuo cappello da Quartiere latino, disse.
Stephen lo raccolse e se lo mise in testa. Haines li chiamava sull’uscio:
– Ehi, venite?
– Sono pronto, rispose Buck Mulligan avviandosi verso la porta. Vieni che usciamo, Kinch. Dài, hai già mangiato tutti i nostri avanzi, se non sbaglio.
Da uomo rassegnato, uscí fuori con incedere grave e gravi accenti, quasi di dolore, e disse:
– Sul suo cammino egli incontrò il signor Rimorsi.
Prendendo il bastone di frassino appoggiato al muro, Stephen li seguí verso l’uscita; e mentre gli altri due scendevano la scala, si tirò dietro la pesante porta di ferro e la chiuse a chiave. Indi ripose l’enorme chiave nella tasca interna.
Ai piedi della scala Buck Mulligan domandò:
– Hai preso la chiave?
– Ce l’ho, rispose Stephen, sorpassando i due.
Ora camminava innanzi. Alle sue spalle sentiva Buck Mulligan prendersela con le cime delle felci e delle erbe, picchiandole col pesante asciugamano.
– Giú! Abbassare la testa! Come vi permettete?
Haines domandò:
– Pagate l’affitto in quella torre?
– Dodici sterline, rispose Buck Mulligan.
– Al ministero della guerra, aggiunge Stephen sopra la spalla.
Si fermarono mentre Haines osservava la torre, concludendo:
– Ha un’aria alquanto desolata d’inverno, direi. Torre Martello, si chiama cosí?
– È William Pitt che le ha costruite, queste torri, fece Buck Mulligan, quando i francesi correvano i mari. Ma per noi, questo è il nostro omphalos.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano è stata citata questa strofa della poesia "Song of myself / Canto di me stesso" di Walt Whitman del 1855:
Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself,
(I am large, I contain multitudes)

Mi contraddico?
Certo che mi contraddico,
(sono vasto, contegno moltitudini)
Altra citazione è quella da "As I Was Going Down Sackville Street" di Oliver St. John Gogarty del 1937, che raccoglie alcune sue cronache dublinesi che probabilmente, già all'epoca della stesura dell'Ulisse, Joyce conosceva già, così come il personaggio a cui ci si riferisce:
Going forth, I met Butterly, a spruce little barrister with a large red face who always seemed to be leaving in a hurry, though no one knew where he went or where he slept.
E uscendo in campo incontrai Butterly, un elegante avvocatino con un faccione rosso, che sembrava partisse sempre in gran fretta anche se poi nessuno sapeva dove andava o dove dormiva.
Nella puntata di oggi, relativamente al bastone di frassino (ashplant) di Dedalus, si è fatto riferimento ai seguenti passi tratti dal primo libro dell'Odissea, in cui Atena va a trovare Telemaco e appoggia la sua asta nel salone (trad. Onesti):
E prese l'asta gagliarda, puntuta d'acuto bronzo,
robusta, grande, pesante, con cui ella atterra le schiere
dei forti, se con essi s'adira, la figlia del Padre possente.
E venne giù dalle cime d'Olimpo d'un balzo,
fu tra il popolo d'Itaca, d'Odisseo avanti il portico,
sulla soglia dell'atrio; in mano aveva l'asta di bronzo,
(...)
[Telemaco] le mosse incontro pel portico, e provò ira in cuore
che l'ospite avesse atteso alla porta: davanti a lei stette,
le prese la destra, ne ricevette l'asta di bronzo,
(...)
E quando furono dentro l'alto salone,
andò a posar l'asta contro una lunga colonna;
nella lucida astiera, dove anche l'altre
aste del costante Odisseo in gran numero stavano;
Riporto infine una foto in cartolina di Joyce del 1902 che indossa un cappello alla parigina, da "quartiere latino":

lunedì 30 marzo 2020

#22 Esce la lattaia


La vachere - Julien Dupre
Si parla in lingua gaelica in questa scena. Sì ma chi davvero la parla e chi effettivamente la capisce? Dopo alcuni momenti di incomprensione e incomunicabilità, l'incontro con la lattaia si chiude la lingua che mette tutti d'accordo: il denaro.

Per guardare questo e gli altri video su Youtube, clicca qui sotto:
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La versione in podcast è disponibile su Spotify qui:
https://open.spotify.com/show/05nniQWDcnUfLNkUJ9LXWR?si=U2cFdX26S0etdDljPP2zGQ

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Stephen listened in scornful silence. She bows her old head to a voice that speaks to her loudly, her bonesetter, her medicineman: me she slights. To the voice that will shrive and oil for the grave all there is of her but her woman's unclean loins, of man's flesh made not in God's likeness, the serpent's prey. And to the loud voice that now bids her be silent with wondering unsteady eyes.
— Do you understand what he says? Stephen asked her.
— Is it French you are talking, sir? the old woman said to Haines.
Haines spoke to her again a longer speech, confidently.
— Irish, Buck Mulligan said. Is there Gaelic on you?
— I thought it was Irish, she said, by the sound of it. Are you from the west, sir?
— I am an Englishman, Haines answered.
— He's English, Buck Mulligan said, and he thinks we ought to speak Irish in Ireland.
— Sure we ought to, the old woman said, and I'm ashamed I don't speak the language myself. I'm told it's a grand language by them that knows.
— Grand is no name for it, said Buck Mulligan. Wonderful entirely. Fill us out some more tea, Kinch. Would you like a cup, ma'am?
— No, thank you, sir, the old woman said, slipping the ring of the milkcan on her forearm and about to go.
Haines said to her:
— Have you your bill? We had better pay her, Mulligan, hadn't we?
Stephen filled again the three cups.
— Bill, sir? she said, halting. Well, it's seven mornings a pint at twopence is seven twos is a shilling and twopence over and these three mornings a quart at fourpence is three quarts is a shilling and one and two is two and two, sir.
Buck Mulligan sighed and, having filled his mouth with a crust thickly buttered on both sides, stretched forth his legs and began to search his trouser pockets.
— Pay up and look pleasant, Haines said to him, smiling.
Stephen filled a third cup, a spoonful of tea colouring faintly the thick rich milk. Buck Mulligan brought up a florin, twisted it round in his fingers and cried:
— A miracle!
He passed it along the table towards the old woman, saying:
— Ask nothing more of me, sweet. All I can give you I give.
Stephen laid the coin in her uneager hand.
— We'll owe twopence, he said.
— Time enough, sir, she said, taking the coin. Time enough. Good morning, sir.
She curtseyed and went out, followed by Buck Mulligan's tender chant:
—  Heart of my heart, were it more,
More would be laid at your feet.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Stephen ascoltava in sdegnoso silenzio. Quella china la vecchia testa a una voce che le parla forte, il suo conciaossa, il suo stregone: me mi sdegna. Alla voce di colui che la confesserà e che ungerà per la tomba tutto quel che resta di lei salvo i lombi immondi di donna, di carne d’uomo non fatta a somiglianza di Dio, preda del serpente. E alla voce alta che ora le impone di tacere con occhi stupiti incerti.
– Capisce quel che le dice? domandò Stephen.
– Parla francese, signore? disse la vecchia a Haines.
Haines tornò a parlarle, un più lungo discorso, sicuro di sé.
– Irlandese, disse Buck Mulligan. Mastica il gaelico lei?
– Mi pareva che fosse irlandese, disse lei, dal suono. Lei è dell’ovest, signore?
– Sono un inglese, rispose Haines.
– È inglese, disse Buck Mulligan, e pensa che dovremmo parlare irlandese in Irlanda.
– Certo che dovremmo, disse la vecchia, e io mi vergogno di non parlarlo. Mi dicono quelli che se ne intendono che è una gran lingua.
– Grande non è la parola, disse Buck Mulligan. È semplicemente meravigliosa. Versaci un altro po’ di tè, Kinch. Ne gradisce una tazza, signora?
– No, grazie, signore, disse la vecchia, infilandosi il manico del bidone nell’avambraccio e disponendosi ad andarsene.
Haines le disse:
– Ha portato il conto? Sarebbe meglio pagarla, vero, Mulligan?
Stephen tornò a riempire le tre tazze.
– Il conto, signore? disse lei, fermandosi. Dunque, sono sette mattine una pinta a due pence fa sette volte due fa uno scellino e due pence e queste tre mattine due pinte a quattro pence fa sei pinte che fa uno scellino. Questo è uno scellino e uno e due che fa due e due, signore.
Buck Mulligan sospirò e, riempitasi la bocca di una crosta di pane generosamente imburrata da tutte e due le parti allungò le gambe e cominciò a frugarsi nelle tasche dei pantaloni.
– Paghi col sorriso sulle labbra, gli disse Haines, gaiamente.
Stephen riempì una terza tazza, il denso ricco latte colorandosi debolmente d’una cucchiaiata di tè. Buck Mulligan cavò fuori un fiorino, lo rigirò tra le dita e gridò:
– Miracolo!
Lo fece passare lungo la tavola verso la vecchia, dicendo:
– Non chiedermi altro tesoro.
Ciò che posso io te lo do.
Stephen le depose la moneta nella mano passiva.
– Dobbiamo ancora due pence, disse.
– C’è tempo, signore, disse la vecchia prendendo la moneta. C’è tempo. Buongiorno, signore.
Fece la sua riverenza e se ne andò, seguita dalla tenera cantilena di Buck Mulligan:
– Cuor del mio cuore, se più ce ne fosse,
Più ne sarebbe messo ai tuoi piedi.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Stephen ascoltava assorto in un silenzio sprezzante. Lei china la vecchia testa a una voce che le parla forte, aggiustaossa, il suo stregone: mi disprezza. A quella voce che la confesserà e ungerà per la tomba tutto ciò che rimane di lei, tranne i suoi lombi sporchi di donna, carne d’uomo fatto non a somiglianza di Dio, la preda del serpente. E a quella voce forte che ora le ordina di stare in silenzio ad ammirare con occhi incerti.
– Capisce cosa sta dicendo? le chiese Stephen.
– Parla francese forse, signore? chiese a Haines la vecchia.
Haines, sicuro di sé, le parlò ancor più a lungo.
– Irlandese, disse Buck Mulligan. Lo parla, lei, un po’ di gaelico?
– Mi pareva irlandese, disse quella, dal suono. Viene dall’ovest, signore?
– Sono inglese, rispose Haines.
– È inglese, disse Buck Mulligan, e secondo lui in Irlanda dovremmo parlare irlandese.
– Anche secondo me, disse la vecchia, e io stessa mi vergogno di non saperla parlare quella lingua. Mi vien detto da chi se ne intende che è una lingua grandiosa.
– Grandiosa non è esatto, disse Buck Mulligan. Assolutamente meravigliosa. Versaci un altro po’ di tè, Kinch. Ne vuole una tazza, signora mia?
– No grazie, signore, rispose la vecchia, facendo scivolare la maniglia del recipiente lungo l’avambraccio, e pronta ad andare.
Haines le disse:
– Ha con sé il conto? È meglio che la paghiamo, Mulligan, non trova?
Stephen riempì di nuovo le tre tazze.
– Il conto, signore? disse lei, arrestandosi. Allora, sono sette mattine una pinta a due pence fa sette per due fa uno scellino e due pence in tutto e queste tre mattine un quarto a quattro pence fa tre quarti fa uno scellino e uno e due fa due e due, signore.
Buck Mulligan sospirò e dopo essersi riempito la bocca con una crosta ben imburrata da entrambi i lati, si stiracchiò le gambe e iniziò a rovistare nelle tasche dei pantaloni.
– Saldi il conto cortesemente, gli disse Haines sorridendo.
Stephen riempì la terza tazza, un cucchiaino di tè a colorare lievemente il latte ricco e denso. Buck Mulligan tirò fuori un fiorino, se lo rigirò tra le dita e disse:
– Miracolo!
Lo fece correre lungo il tavolo verso la vecchia, dicendo:
– Non mi chieda di più, cara mia. Tutto ciò che posso darle, io glielo do.
Stephen adagiò la moneta sulla mano poco entusiasta di lei.
– Le dobbiamo due pence, fece.
– Non c’è fretta, signore, disse lei, prendendo la moneta. Non c’è fretta. Buona giornata, signore.
Fece una riverenza e uscì, seguita dal dolce canto di Buck Mulligan:
– Cuor del mio cuore, se avessi di più
Di più avresti ai tuoi piedi.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Stephen ascoltava in sdegnoso silenzio. Lei china la testa canuta innanzi a questa voce che le parla sbraitando, come davanti al suo giustaossa, al suo stregone. A me non bada. E cosí farà davanti a chi la confessa, e con chi preparandola per la tomba ungerà quel che resta di lei, tranne i suoi lombi impuri di donna, carne d’uomo non fatta a somiglianza di Dio, preda del serpente. E cosí ancora adesso davanti a questa voce forte che le impone di tacere, occhi stupiti e incerti.
– Capisce quello che le dice? chiese Stephen alla donna.
– Cosa parla, il signore, parla francese? chiese la vecchia a Haines.
Haines le fece un discorso piú lungo, fiducioso d’esser compreso.
– Le sta parlando in irlandese, intervenne Buck Mulligan. Capisce il gaelico?
– Ci avevo pensato che fosse irlandese, dal suono, lei disse. Il signore viene dall’ovest?
– Sono inglese, rispose Haines.
– È inglese, fece Buck Mulligan, e pensa che noi in Irlanda dovremmo parlare irlandese.
– Sicuro che è cosí, disse la vecchia, e io per me mi vergogno di non parlarlo. Quelli che lo conoscono m’hanno detto che è una grande lingua.
– Grande non è la parola giusta, disse Buck Mulligan. È una pura meraviglia. Versaci ancora un po’ di tè, Kinch. Signora, ne gradisce una tazza?
– No, grazie, signore, disse la vecchia, facendo scivolare il manico del recipiente del latte sul suo avambraccio, pronta ad andarsene.
Haines le disse:
– Ce l’ha il conto? Sarebbe meglio pagarla, vero, Mulligan?
Stephen riempí le tre tazze.
– Il conto, signore? fece la donna fermandosi. Be’, sono sette mattine, ogni volta una pinta di latte a due pence fa sette volte due, che è uno scellino e due pence, e queste tre mattine due pinte a quattro pence fa sei pinte, che fa uno scellino. Piú lo scellino e due pence, fa due scellini e due, signore.
Buck Mulligan sospirò, e dopo essersi ficcato in bocca una crosta di pane ben imburrata su entrambi i lati, allungò le gambe e prese a frugarsi nelle tasche dei calzoni.
– Paghi il conto con faccia contenta, gli suggerí Haines, sorridendo.
Stephen riempí una terza tazza; un cucchiaino di tè colorò fievolmente il latte ricco e denso. Buck Mulligan cavò fuori un fiorino, lo fece roteare tra le dita e gridò:
– Miracolo!
Attraverso la tavola lo fece arrivare alla vecchia, dicendo:
– Non mi chieda altro, dolcezza mia. È tutto quel che posso dare.
Stephen le pose la moneta nella mano esitante.
– Le dobbiamo due pence, disse.
– C’è tempo, signore, rispose lei, prendendo la moneta. Nessuna fretta. Buona giornata, signore.
Fece un inchino e uscí, seguita dai teneri accenti del canto di Buck Mulligan:
Cuor del mio cuore, se piú ve ne fosse
Metterei ai tuoi piedi il piú del mio avere.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho fatto riferimento al seguente passo dell'Antico Testamento, dal Levitico 15,19-28
19 Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. 20 Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo fino alla sera. 22 Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo fino alla sera. 23 Se l'uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. 24 Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l'immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà sarà immondo.
25 La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle regole, o che lo abbia più del normale sarà immonda per tutto il tempo del flusso, secondo le norme dell'immondezza mestruale. 26 Ogni giaciglio sul quale si coricherà durante tutto il tempo del flusso sarà per lei come il giaciglio sul quale si corica quando ha le regole; ogni mobile sul quale siederà sarà immondo, come lo è quando essa ha le regole. 27 Chiunque toccherà quelle cose sarà immondo; dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo fino alla sera. 28 Quando essa sia guarita dal flusso, conterà sette giorni e poi sarà monda. 
Nel brano inoltre si cita la seguente poesia The oblation (L'offerta) di Algernon Swinburne del 1971:
Ask nothing more of me, sweet;
   All I can give you I give.
      Heart of my heart, were it more,
More would be laid at your feet—
   Love that should help you to live,
      Song that should spur you to soar.
All things were nothing to give,
   Once to have sense of you more,
      Touch you and taste of you, sweet,
Think you and breathe you and live,
   Swept of your wings as they soar,
      Trodden by chance of your feet.
I that have love and no more
   Give you but love of you, sweet.
      He that hath more, let him give;
He that hath wings, let him soar;
   Mine is the heart at your feet
      Here, that must love you to live.
Anche nella versione musicata da Theophilus Marzials intorno al 1880, che potrete ascoltare qui:
https://verseandmusic.com/2016/08/31/ask-nothing-more/

giovedì 5 marzo 2020

#21 Entra la lattaia

La lattaia di Vermeer
Nel bel mezzo della colazione, una nuova figura viene introdotta nella torre di Sandycove: la vecchia lattaia. Scopriamo come verrà accolta la nuova ospite da Buck, Haines e Stephen.

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Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
The doorway was darkened by an entering form.
— The milk, sir!
— Come in, ma'am, Mulligan said. Kinch, get the jug.
An old woman came forward and stood by Stephen's elbow.
— That's a lovely morning, sir, she said. Glory be to God.
— To whom? Mulligan said, glancing at her. Ah, to be sure!
Stephen reached back and took the milkjug from the locker.
— The islanders, Mulligan said to Haines casually, speak frequently of the collector of prepuces.
— How much, sir? asked the old woman.
— A quart, Stephen said.
He watched her pour into the measure and thence into the jug rich white milk, not hers. Old shrunken paps. She poured again a measureful and a tilly. Old and secret she had entered from a morning world, maybe a messenger. She praised the goodness of the milk, pouring it out. Crouching by a patient cow at daybreak in the lush field, a witch on her toadstool, her wrinkled fingers quick at the squirting dugs. They lowed about her whom they knew, dewsilky cattle. Silk of the kine and poor old woman, names given her in old times. A wandering crone, lowly form of an immortal serving her conqueror and her gay betrayer, their common cuckquean, a messenger from the secret morning. To serve or to upbraid, whether he could not tell: but scorned to beg her favour.
— It is indeed, ma'am, Buck Mulligan said, pouring milk into their cups.
— Taste it, sir, she said.
He drank at her bidding.
— If we could only live on good food like that, he said to her somewhat loudly, we wouldn't have the country full of rotten teeth and rotten guts. Living in a bogswamp, eating cheap food and the streets paved with dust, horsedung and consumptives' spits.
— Are you a medical student, sir? the old woman asked.
— I am, ma'am, Buck Mulligan answered.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Il vano della porta fu oscurato da una figura che entrava.
– Il latte, signore.
– Avanti, signora, disse Mulligan. Kinch, prendi il bricco.
Una vecchia si fece avanti e si fermò accanto a Stephen.
– È una bella giornata, signore, disse. Sia gloria al Signore.
– A chi? disse Mulligan, dandole un’occhiata. Ah sì, naturalmente.
Stephen si sporse all’indietro e prese il bricco del latte dalla credenza.
– Gli isolani, disse Mulligan a Haines come di passata, parlano spesso dell’esattore di prepuzi.
– Quanto, signore? domandò la vecchia.
– Due pinte, disse Stephen.
La guardò mentre versava nel misurino e di lì nel bricco il pingue latte bianco, non il suo. Vecchie mammelle avvizzite. Ne versò un’altra misura colma e una giunta. Vecchia e segreta era entrata da un mondo mattutino, forse una messaggera. Vantava la bontà del latte, nel versarlo. Accoccolata presso una vacca paziente all’alba nel pascolo lussureggiante, strega sul suo fungo velenoso, dita grinzose alacri sui capezzoli sprizzanti. Muggivano intorno a lei che ben conoscevano, le bestie seriche di rugiada. Seta delle mucche e povera vecchietta, nomi che le si davano nei tempi andati. Una vegliarda errante, umile forma di un’immortale che serve chi la conquise e chi allegramente la tradì, loro druda comune, messaggera del segreto mattino. Se per servire o per rampognare, lui non avrebbe saputo dirlo: ma sdegnava di sollecitarne i favori.
– Proprio così, signora, disse Buck Mulligan, versando il latte nelle tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Egli bevve al suo invito.
– Se soltanto potessimo vivere di cibo buono come questo, le disse a voce piuttosto alta, non avremmo il paese pieno di denti guasti e budella marce. Si vive in una palude infetta, si mangia cibo da pochi soldi con strade lastricate di polvere, merda di cavallo e sputi di tisici.
– Lei studia da medico, signore? domandò la vecchia.
– Sì, signora, rispose Buck Mulligan.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
L’uscio si oscurò per l’accedere d’una sagoma.
– Il latte, signore.
– Venga, signora mia, disse Mulligan, Kinch, porta la brocca.
Una vecchia donna si fece avanti e si fermò accanto al gomito di Stephen.
– Che gran bella giornata, signore, disse lei. Sia ringraziato Iddio.
– Chi? disse Mulligan, squadrandola. Ah, non avevo capito.
Stephen si sporse indietro e prese la brocca del latte dalla credenza.
– Gli isolani, disse Mulligan a Haines con fare vago, parlano spesso del collezionista di prepuzi.
– Quanto, signore? chiese la vecchia.
– Un quarto, fece Stephen.
La guardò versare nella misura e poi nella brocca quel latte ricco e bianco, non suo. Vecchie mammelle rinsecchite. Ne versò di nuovo una misura piena e poi ancora un po’. Vecchia e discreta si era affacciata da un mondo mattutino, forse un messaggero. Lodava la bontà del latte, nel versarlo. China accanto a una vacca paziente allo spuntar del giorno in un campo rigoglioso, una strega sul suo fungo velenoso, le dita rugose veloci a maneggiar mammelle sprizzanti. Muggivano intorno a lei nel riconoscerla, bovini lucenti come seta di rugiada. Seta delle vacche e povera vecchia, nomi che le venivano dati nei giorni che furono. Una vecchia megera errante, forma umile di un immortale al servizio del conquistatore, e del di lei gaio traditore, la loro cornuta comune, un messaggero del mattino segreto. Servire o rimproverare, quale delle due cose non sapeva dire: ma sdegnava di implorare il favore di lei.
– Propriò così, disse Buck Mulligan, versando latte nelle loro tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Lui bevve al suo invito.
– Se solo potessimo vivere di cibo buono come questo, le disse piuttosto ad alta voce, non avremmo il paese pieno di denti marci e budella marce. Vivere in un acquitrino di torbiera, mangiare cibo da due soldi e con le strade tappezzate di immondizia, merda di cavallo e sputi di tubercolotici.
– Lei è uno studente in medicina, signore? chiese la vecchia.
– Sì, signora mia, rispose Buck Mulligan.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Il latte, signore.
– Venga, venga, signora, disse Mulligan. Kinch, prendi il bricco.
Una donna anziana si fece innanzi e si fermò accanto a Stephen.
– Bella giornata, vero, signore? Sia resa gloria a Dio.
– A chi? disse Mulligan, lanciandole un’occhiata. Ah, sí, sí, certo!
Allungando il braccio all’indietro, Stephen prese il bricco del latte dalla credenza.
– Qui gli isolani, fece Mulligan a Haines con aria casuale, parlan spesso del grande esattore di prepuzi.
– Quanto, signore? chiese l’anziana.
– Due pinte, rispose Stephen.
Poi la guardò riempire il misurino e versare nel bricco quel latte bianco e grasso, latte non suo. Vecchie zinne avvizzite. La donna versò di nuovo un misurino colmo e con l’aggiunta. Anziana e misteriosa, era comparsa da un mondo mattutino, forse una messaggera. Versandolo, lodava la bontà di quel latte. Al sorgere del sole, in rigogliosa pastura, accucciata presso una vacca paziente, tipo strega seduta sul suo fungo velenoso, con dita grinze e svelte sui capezzoli che sprizzano. Le bestie satinate dalla rugiada la conoscevano e le muggivano intorno. Seta di vacca e misera vecchina, frasario dei vecchi tempi. Vegliarda vagante, umile forma di un’immortale dea al servizio del conquistatore e di chi allegramente l’ha tradita, loro concubina in comune, messaggera dal segreto mattino. Se per servirli o per accusarli, Stephen non avrebbe saputo dire: ma sdegnoso di sollecitarne i favori.
– Ah, proprio cosí, cara signora, disse Buck Mulligan, versando il latte nelle tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Obbedendole Buck bevve.
– Se potessimo vivere di cibo cosí sano, le disse rialzando alquanto la voce, non avremmo un paese pieno di gente con intestini marci e denti guasti. Viviamo in una palude stagnante, mangiando cibo che nutre poco, fra strade coperte di polvere e sterco di cavallo e sputi di tisici.
– Lei, signore, studia medicina? chiese la vecchia.
– Sissignora, rispose Buck Mulligan.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato il seguente passo dall'Antico Testamento, dalla Genesi 17,10-14 (nuova riveduta):
10 Questo è il mio patto che voi osserverete, patto fra me e voi e la tua discendenza dopo di te: ogni maschio tra di voi sia circonciso. 11 Sarete circoncisi; questo sarà un segno del patto fra me e voi. 12 All'età di otto giorni, ogni maschio sarà circonciso tra di voi, di generazione in generazione: tanto quello nato in casa, quanto quello comprato con denaro da qualunque straniero e che non sia della tua discendenza. 13 Quello nato in casa tua e quello comprato con denaro dovrà essere circonciso; il mio patto nella vostra carne sarà un patto perenne. 14 L'incirconciso, il maschio che non sarà stato circonciso nella carne del suo prepuzio, sarà tolto via dalla sua gente: egli avrà violato il mio patto
Questi invece sono i link alle canzoni tradizionali irlandesi a cui il passo dell'Ulisse fa riferimento; potrete ascoltare l'audio e trovare anche il testo:

Droimeann Donn Dilis (Silk of the kine)

Sean Van Vocht (Poor old woman):
"Oh! the French are on the sea," says the Sean van Voght,
"Oh! the French are on the sea," says the Sean van Voght,
"The French are in the Bay, they'll be here at break of day,
(...)
"Will old Ireland then be free? " says the Sean van Voght,
"Will old Ireland then be free? " says the Sean van Voght,
"Old Ireland shall be free from the centre to the sea;