giovedì 5 marzo 2020

#21 Entra la lattaia

La lattaia di Vermeer
Nel bel mezzo della colazione, una nuova figura viene introdotta nella torre di Sandycove: la vecchia lattaia. Scopriamo come verrà accolta la nuova ospite da Buck, Haines e Stephen.

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La versione in podcast è disponibile su Spotify qui:
https://open.spotify.com/show/05nniQWDcnUfLNkUJ9LXWR?si=U2cFdX26S0etdDljPP2zGQ

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
The doorway was darkened by an entering form.
— The milk, sir!
— Come in, ma'am, Mulligan said. Kinch, get the jug.
An old woman came forward and stood by Stephen's elbow.
— That's a lovely morning, sir, she said. Glory be to God.
— To whom? Mulligan said, glancing at her. Ah, to be sure!
Stephen reached back and took the milkjug from the locker.
— The islanders, Mulligan said to Haines casually, speak frequently of the collector of prepuces.
— How much, sir? asked the old woman.
— A quart, Stephen said.
He watched her pour into the measure and thence into the jug rich white milk, not hers. Old shrunken paps. She poured again a measureful and a tilly. Old and secret she had entered from a morning world, maybe a messenger. She praised the goodness of the milk, pouring it out. Crouching by a patient cow at daybreak in the lush field, a witch on her toadstool, her wrinkled fingers quick at the squirting dugs. They lowed about her whom they knew, dewsilky cattle. Silk of the kine and poor old woman, names given her in old times. A wandering crone, lowly form of an immortal serving her conqueror and her gay betrayer, their common cuckquean, a messenger from the secret morning. To serve or to upbraid, whether he could not tell: but scorned to beg her favour.
— It is indeed, ma'am, Buck Mulligan said, pouring milk into their cups.
— Taste it, sir, she said.
He drank at her bidding.
— If we could only live on good food like that, he said to her somewhat loudly, we wouldn't have the country full of rotten teeth and rotten guts. Living in a bogswamp, eating cheap food and the streets paved with dust, horsedung and consumptives' spits.
— Are you a medical student, sir? the old woman asked.
— I am, ma'am, Buck Mulligan answered.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Il vano della porta fu oscurato da una figura che entrava.
– Il latte, signore.
– Avanti, signora, disse Mulligan. Kinch, prendi il bricco.
Una vecchia si fece avanti e si fermò accanto a Stephen.
– È una bella giornata, signore, disse. Sia gloria al Signore.
– A chi? disse Mulligan, dandole un’occhiata. Ah sì, naturalmente.
Stephen si sporse all’indietro e prese il bricco del latte dalla credenza.
– Gli isolani, disse Mulligan a Haines come di passata, parlano spesso dell’esattore di prepuzi.
– Quanto, signore? domandò la vecchia.
– Due pinte, disse Stephen.
La guardò mentre versava nel misurino e di lì nel bricco il pingue latte bianco, non il suo. Vecchie mammelle avvizzite. Ne versò un’altra misura colma e una giunta. Vecchia e segreta era entrata da un mondo mattutino, forse una messaggera. Vantava la bontà del latte, nel versarlo. Accoccolata presso una vacca paziente all’alba nel pascolo lussureggiante, strega sul suo fungo velenoso, dita grinzose alacri sui capezzoli sprizzanti. Muggivano intorno a lei che ben conoscevano, le bestie seriche di rugiada. Seta delle mucche e povera vecchietta, nomi che le si davano nei tempi andati. Una vegliarda errante, umile forma di un’immortale che serve chi la conquise e chi allegramente la tradì, loro druda comune, messaggera del segreto mattino. Se per servire o per rampognare, lui non avrebbe saputo dirlo: ma sdegnava di sollecitarne i favori.
– Proprio così, signora, disse Buck Mulligan, versando il latte nelle tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Egli bevve al suo invito.
– Se soltanto potessimo vivere di cibo buono come questo, le disse a voce piuttosto alta, non avremmo il paese pieno di denti guasti e budella marce. Si vive in una palude infetta, si mangia cibo da pochi soldi con strade lastricate di polvere, merda di cavallo e sputi di tisici.
– Lei studia da medico, signore? domandò la vecchia.
– Sì, signora, rispose Buck Mulligan.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
L’uscio si oscurò per l’accedere d’una sagoma.
– Il latte, signore.
– Venga, signora mia, disse Mulligan, Kinch, porta la brocca.
Una vecchia donna si fece avanti e si fermò accanto al gomito di Stephen.
– Che gran bella giornata, signore, disse lei. Sia ringraziato Iddio.
– Chi? disse Mulligan, squadrandola. Ah, non avevo capito.
Stephen si sporse indietro e prese la brocca del latte dalla credenza.
– Gli isolani, disse Mulligan a Haines con fare vago, parlano spesso del collezionista di prepuzi.
– Quanto, signore? chiese la vecchia.
– Un quarto, fece Stephen.
La guardò versare nella misura e poi nella brocca quel latte ricco e bianco, non suo. Vecchie mammelle rinsecchite. Ne versò di nuovo una misura piena e poi ancora un po’. Vecchia e discreta si era affacciata da un mondo mattutino, forse un messaggero. Lodava la bontà del latte, nel versarlo. China accanto a una vacca paziente allo spuntar del giorno in un campo rigoglioso, una strega sul suo fungo velenoso, le dita rugose veloci a maneggiar mammelle sprizzanti. Muggivano intorno a lei nel riconoscerla, bovini lucenti come seta di rugiada. Seta delle vacche e povera vecchia, nomi che le venivano dati nei giorni che furono. Una vecchia megera errante, forma umile di un immortale al servizio del conquistatore, e del di lei gaio traditore, la loro cornuta comune, un messaggero del mattino segreto. Servire o rimproverare, quale delle due cose non sapeva dire: ma sdegnava di implorare il favore di lei.
– Propriò così, disse Buck Mulligan, versando latte nelle loro tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Lui bevve al suo invito.
– Se solo potessimo vivere di cibo buono come questo, le disse piuttosto ad alta voce, non avremmo il paese pieno di denti marci e budella marce. Vivere in un acquitrino di torbiera, mangiare cibo da due soldi e con le strade tappezzate di immondizia, merda di cavallo e sputi di tubercolotici.
– Lei è uno studente in medicina, signore? chiese la vecchia.
– Sì, signora mia, rispose Buck Mulligan.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Il latte, signore.
– Venga, venga, signora, disse Mulligan. Kinch, prendi il bricco.
Una donna anziana si fece innanzi e si fermò accanto a Stephen.
– Bella giornata, vero, signore? Sia resa gloria a Dio.
– A chi? disse Mulligan, lanciandole un’occhiata. Ah, sí, sí, certo!
Allungando il braccio all’indietro, Stephen prese il bricco del latte dalla credenza.
– Qui gli isolani, fece Mulligan a Haines con aria casuale, parlan spesso del grande esattore di prepuzi.
– Quanto, signore? chiese l’anziana.
– Due pinte, rispose Stephen.
Poi la guardò riempire il misurino e versare nel bricco quel latte bianco e grasso, latte non suo. Vecchie zinne avvizzite. La donna versò di nuovo un misurino colmo e con l’aggiunta. Anziana e misteriosa, era comparsa da un mondo mattutino, forse una messaggera. Versandolo, lodava la bontà di quel latte. Al sorgere del sole, in rigogliosa pastura, accucciata presso una vacca paziente, tipo strega seduta sul suo fungo velenoso, con dita grinze e svelte sui capezzoli che sprizzano. Le bestie satinate dalla rugiada la conoscevano e le muggivano intorno. Seta di vacca e misera vecchina, frasario dei vecchi tempi. Vegliarda vagante, umile forma di un’immortale dea al servizio del conquistatore e di chi allegramente l’ha tradita, loro concubina in comune, messaggera dal segreto mattino. Se per servirli o per accusarli, Stephen non avrebbe saputo dire: ma sdegnoso di sollecitarne i favori.
– Ah, proprio cosí, cara signora, disse Buck Mulligan, versando il latte nelle tazze.
– Lo assaggi, signore, disse lei.
Obbedendole Buck bevve.
– Se potessimo vivere di cibo cosí sano, le disse rialzando alquanto la voce, non avremmo un paese pieno di gente con intestini marci e denti guasti. Viviamo in una palude stagnante, mangiando cibo che nutre poco, fra strade coperte di polvere e sterco di cavallo e sputi di tisici.
– Lei, signore, studia medicina? chiese la vecchia.
– Sissignora, rispose Buck Mulligan.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Ho citato il seguente passo dall'Antico Testamento, dalla Genesi 17,10-14 (nuova riveduta):
10 Questo è il mio patto che voi osserverete, patto fra me e voi e la tua discendenza dopo di te: ogni maschio tra di voi sia circonciso. 11 Sarete circoncisi; questo sarà un segno del patto fra me e voi. 12 All'età di otto giorni, ogni maschio sarà circonciso tra di voi, di generazione in generazione: tanto quello nato in casa, quanto quello comprato con denaro da qualunque straniero e che non sia della tua discendenza. 13 Quello nato in casa tua e quello comprato con denaro dovrà essere circonciso; il mio patto nella vostra carne sarà un patto perenne. 14 L'incirconciso, il maschio che non sarà stato circonciso nella carne del suo prepuzio, sarà tolto via dalla sua gente: egli avrà violato il mio patto
Questi invece sono i link alle canzoni tradizionali irlandesi a cui il passo dell'Ulisse fa riferimento; potrete ascoltare l'audio e trovare anche il testo:

Droimeann Donn Dilis (Silk of the kine)

Sean Van Vocht (Poor old woman):
"Oh! the French are on the sea," says the Sean van Voght,
"Oh! the French are on the sea," says the Sean van Voght,
"The French are in the Bay, they'll be here at break of day,
(...)
"Will old Ireland then be free? " says the Sean van Voght,
"Will old Ireland then be free? " says the Sean van Voght,
"Old Ireland shall be free from the centre to the sea;

domenica 2 febbraio 2020

#20 Il tè nella torre

Il tè (Mary Cassatt, 1880)
Haines dice che Mulligan il tè lo fa forte. Non poteva essere altrimenti, non ci saremmo aspettati da Mulligan un tè leggero e una colazione senza le sue irriverenze.

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https://youtu.be/F8013saU3FM

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Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Haines sat down to pour out the tea.
— I'm giving you two lumps each, he said. But, I say, Mulligan, you do make strong tea, don't you?
Buck Mulligan, hewing thick slices from the loaf, said in an old woman's wheedling voice:
— When I makes tea I makes tea, as old mother Grogan said. And when I makes water I makes water.
— By Jove, it is tea, Haines said.
Buck Mulligan went on hewing and wheedling:
So I do, Mrs Cahill, says she. Begob, ma'am, says Mrs Cahill, God send you don't make them in the one pot.
He lunged towards his messmates in turn a thick slice of bread, impaled on his knife.
— That's folk, he said very earnestly, for your book, Haines. Five lines of text and ten pages of notes about the folk and the fishgods of Dundrum. Printed by the weird sisters in the year of the big wind.
He turned to Stephen and asked in a fine puzzled voice, lifting his brows:
— Can you recall, brother, is mother Grogan's tea and water pot spoken of in the Mabinogion or is it in the Upanishads?
— I doubt it, said Stephen gravely.
— Do you now? Buck Mulligan said in the same tone. Your reasons, pray?
— I fancy, Stephen said as he ate, it did not exist in or out of the Mabinogion. Mother Grogan was, one imagines, a kinswoman of Mary Ann.
Buck Mulligan's face smiled with delight.
— Charming! he said in a finical sweet voice, showing his white teeth and blinking his eyes pleasantly. Do you think she was? Quite charming!
Then, suddenly overclouding all his features, he growled in a hoarsened rasping voice as he hewed again vigorously at the loaf:
—  For old Mary Ann
She doesn't care a damn.
But, hising up her petticoats...
He crammed his mouth with fry and munched and droned.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Haines si sedette per versare il tè.
– Vi do due zollette a testa, disse. Ma dico, lei, Mulligan, lo fa forte il tè, vero?
Buck Mulligan, tagliando spesse fette dalla pagnotta, disse con una voce da vecchietta smancerosa:
– Quando faccio il tè faccio il tè, come diceva nonna Grogan. E quando faccio acqua faccio acqua.
– Per Giove, questo è tè, disse Haines.
Buck Mulligan continuò a tagliare e a parlare smanceroso.
– Proprio così, Mrs Cahill, dice lei. Perdinci signora, dice Mrs Cahill, Dio vi conceda di non farli nello stesso vaso.
Tese via via a ognuno dei suoi commensali una spessa fetta di pane, impalata sul coltello.
– Questa è gente per il suo libro, Haines, disse con grande serietà. Cinque righe di testo e dieci pagine di nota sul popolo e gli deipesci di Dundrum. Stampato appo le Fatali Sorelle nell’anno del gran vento.
Si voltò verso Stephen e domandò con tornita inflessione dubitativa, alzando i sopraccigli:
– Ti sovviene, fratello, che il vaso del tè e dell’acqua di nonna Grogan si trovi menzionato nel Mabinogion ovvero nelle Upanishad?
– Ho i miei dubbi, disse gravemente Stephen.
– Davvero? disse nello stesso tono Buck Mulligan. E le tue ragioni, di grazia?
– Immagino, disse Stephen mangiando, che non sia mai esistito né dentro né fuori del Mabinogion. Nonna Grogan era, si suppone, consanguinea di Mary Ann.
Il viso di Buck Mulligan sorrise di piacere.
– Incantevole, disse con voce preziosa, mostrando i denti bianchi e strizzando amabilmente gli occhi. Credi proprio? Incantevole davvero.
Poi, rannuvolando d’un tratto tutta la faccia, grugnì con voce roca e rasposa mentre tornava ad affettare vigorosamente la pagnotta:
– Perché la vecchia Mary Ann
Non gliene frega niente.
Ma, alzando le gonnelle…
Si riempì la bocca di fritto e masticò e mugolò.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Haines si mise a sedere per versare il tè.
– Ecco due zollette per uno, disse. Ma, insomma, Mulligan, lei il tè lo fa forte, vero?
Buck Mulligan, tagliando grosse fette di pane disse con una voce blanda da vecchia signora:
– Se faccio il tè faccio il tè, come dice mamma Grogan. E se faccio l’acqua faccio l’acqua.
– Per Giove, questo sì che è tè, disse Haines.
Buck Mulligan continuava a tagliare e a blandire:
– Io faccio così, Mrs Cahill, dice lei. Diamine, risponde Mrs Cahill, voglia Dio che non usiate lo stesso vaso.
Passò ad ognuno dei commensali una spessa fetta di pane, infilzandola col suo coltello.
– Questa è la gente, disse mostrando grande serietà, che le serve per il suo libro, Haines. Cinque righe di testo e dieci pagine di note sulla gente e le divinità in forma di pesci di Dundrum. Stampato dalle sorelle fatali nell’anno del grande vento.
Si voltò verso Stephen e chiese con voce fine e incerta, inarcando le sopracciglia:
– Per caso ti ricordi, fratello, se è nel Mabinogion o nelle Upanishad che si parla del tè e dell’acqua di mamma Grogan?
– Ne dubito, disse Stephen con serietà.
– Come sarebbe a dire? chiese Buck Mulligan con lo stesso tono. Per qual motivo, di grazia?
– Immagino, disse Stephen mentre mangiava, che non compaia né all’interno né all’esterno del Mabinogion. Mamma Grogan era, si crede, una congiunta di Mary Ann.
Il volto di Buck Mulligan sorrise appagato.
– Delizioso, disse con voce pedante e melliflua, mostrando i denti bianchi e ammiccando amabilmente con gli occhi. Davvero? Proprio delizioso.
Poi all’improvviso, rannuvolando del tutto il proprio aspetto, rombò con voce roca e stridula, mentre aveva ripreso a tagliare vigorosamente il filone:
– Infatti la vecchia Marianna
Per nulla si affanna.
Ma alzando la sottoveste...
Riempiendosi la bocca dei fritti della colazione, ruminava e borbottava.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Haines si sedette a versare il tè.
– Vi dò due zollette a testa, fece. Ma accipicchia, Mulligan, il tè lo fate forte, voialtri! O no?
Tagliando la pagnotta a grosse fette, Buck rispose con voce da vecchina piena di smorfie:
– Come diceva Mamma Grogan, se faccio il tè faccio il tè, e se faccio acqua faccio acqua.
– Per Giove! Questo è tè di sicuro, fece Haines.
Buck Mulligan continuò a tagliare il pane e far smorfie:
– Io faccio cosí, cara la mia signora Cahill, diceva Mamma Grogan. Perbacco, cara signora, diceva la signora Cahill, che Dio le conceda di non far mai le due cose nello stesso vaso.
Allungò verso i suoi commensali, a turno, una grossa fetta di pane impalata in cima al coltello; e disse in tutta serietà:
– Ecco qua le voci del popolo, per il suo libro, Haines. Cinque righe di testo e dieci pagine di note su Dundrum, i suoi abitatori e le sue divinità pesciformi. Stampato dalle sorelle del diavolo zoppo nell’anno del grande vento.
Si volse verso Stephen e gli chiese con un fine tono di curiosità, alzando le sopracciglia:
– Fratello, ti ricordi mica se il vaso da notte e la teiera di Mamma Grogan son menzionati nel libro del Mabinogion o nelle Upanishad?
– No, non credo, rispose Stephen con gravità.
– Oh, ma davvero? fece Buck Mulligan sullo stesso tono. E la ragione, prego?
– Temo, disse Stephen continuando a mangiare, che tale teiera non sia esistita nel Mabinogion né altrove. Si pensa che Mamma Grogan fosse parente della Marianna che la faceva su una scranna.
Buck Mulligan ebbe un sorriso di contentezza.
– Affascinante! disse con voce affettata e mielosa, mostrando la bianca sfilza di denti e sbattendo le palpebre di gusto. Proprio pensi che sia cosí? Affascinante!
Poi, d’improvviso incupendosi in tutti i tratti, mentre riprendeva a tagliar con vigore altre fette di pane, attaccò a grugnire con voce roca e aspra:
Perché la vecchia Marianna
Non cede mai d’una spanna
E tirandosi su le sottane…
Si riempí la bocca di frittata, masticando e mugolando.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Di seguito una foto della Dun Emer Press, con Elizabeth Yeats (sorella di William Butler Yeats) alla pressa:
Dun Emer Press (fonte: Joyce Project)

Infine la foto del colophon del libro "I sette boschi / The seven woods" di Yeats, a cui si riferisce Buck Mulligan:
Colophon "The seven Woods" Yeats (fonte Joyce Project)

lunedì 13 gennaio 2020

#19 Il servo

Il chierichetto di A. Solomon - 1842
Il sole splende, ma la visione del bacile di schiuma per radersi, dimenticato da Mulligan sul parapetto della torre, riporta nella mente di Dedalus altri ricordi, altri pensieri, altre nuvole...

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/MP3X8y7UUsc

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
Warm sunshine merrying over the sea. The nickel shaving-bowl shone, forgotten, on the parapet. Why should I bring it down? Or leave it there all day, forgotten friendship?
He went over to it, held it in his hands awhile, feeling its coolness, smelling the clammy slaver of the lather in which the brush was stuck. So I carried the boat of incense then at Clongowes. I am another now and yet the same. A servant too. A server of a servant.
In the gloomy domed livingroom of the tower Buck Mulligan’s gowned form moved briskly about the hearth to and fro, hiding and revealing its yellow glow. Two shafts of soft daylight fell across the nagged floor from the high barbicans: and at the meeting of their rays a cloud of coalsmoke and fumes of fried grease floated, turning.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
Calda solarità in festa sul mare. Il bacile di nichel brillava, dimenticato, sul parapetto. E perché dovrei portarlo giù? Oppure lasciarlo là tutto il giorno, amicizia dimenticata?
Si avvicinò, lo tenne un po’ tra le mani, sentendone il fresco, annusando la bava collosa della schiuma in cui stava impegolato il pennello. Così reggevo il bossolo dell’incenso in quel tempo a Clongowes. Ora sono un altro eppure sempre lo stesso. Sempre un servo. Il servitore di un servo.
Nel fosco tinello a cupola della torre la sagoma di Buck Mulligan in vestaglia andava e veniva arzilla al focolare, nascondendone e scoprendone il giallo barbaglio. Due fasci di morbida luce mattutina piombavano dagli alti barbacani sul pavimento lastricato: all’incrocio dei loro raggi una nuvola di fumo di carbone e vapori di grasso fritto aleggiavano, mulinando.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Calda luce del sole festante sul mare. Brillava la ciotola da barba di nickel, dimenticata, sul parapetto. Perché mai dovrei portarla di sotto? Oppure lasciarla tutto il giorno lì, amicizia dimenticata?
Le andò incontro, la prese con tutte e due le mani, percependone il freddo, e annusando la viscida vischiosità della schiuma che ospitava il pennello piantato. Allora la portavo così la navicella portaincenso a Clongowes. Ora sono un altro eppure lo stesso. Un servitore. Un servo d’una serva.
Nell’oscuro soggiorno a cupola della torre, la sagoma in vestaglia di Buck Mulligan si muoveva spedita intorno al focolare avanti e indietro, celando e rivelando il suo bagliore giallo. Due strali di dolce luce del giorno si scontrarono sul pavimento lastricato, passando attraverso gli alti barbacani: all’incrocio dei loro raggi fluttuavano contorcendosi una nube di fumo da carbone ed esalazioni di grasso fritto.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
Sole caldo in festa sul mare. La tazza di nichel per la rasatura brillava, dimenticata sul parapetto. Perché dovrei portarla da basso? O lasciarla lí tutto il giorno, dimenticata amicizia?
Tornò indietro, la prese in mano per un attimo, sentendo la sua frescura, odorando la bava collosa della schiuma ove era piantato il pennello. Cosí un tempo portai il bossolo dell’incenso a Clongowes. Ora sono un altro e tuttavia lo stesso. Ancora un servitore. Il servitore d’un servitore.
Nell’oscura sala comune della torre, a forma di cupola, la sagoma investagliata di Buck Mulligan si dava da fare con mosse leste, avanti e indietro innanzi al caminetto, coprendo e scoprendo il giallo barbaglio del fuoco. Due fasci di morbida luce solare scendevano dagli alti contrafforti sul pavimento piastrellato; e là dove i loro raggi si riunivano, frullavano nell’aria i fumi del carbone e i vapori del grasso fritto, in una nube vorticante.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Di seguito una foto dell'interno della torre di Sandycove, dove si possono vedere i barbacani, ovvero le feritoie, le fessure, da dove si infiltrano i raggi del sole, come descritto in questo brano dell'Ulisse.

interno torre di Sandycove
(foto estratta da Joyce Project)

domenica 1 dicembre 2019

#18 Madre iena

The Nightmare - Henry Fuseli 1781
Siamo sicuri che sia semplicemente il dolore per la morte della madre ad ossessionare Dedalus o piuttosto è invece l'analisi speculativa su questo dolore? Nella sua mente la madre è un fantasma inquieto o un demone affamato?

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/XF65VSqTwYg

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
In a dream, silently, she had come to him, her wasted body within its loose graveclothes giving off an odour of wax and rosewood, her breath, bent over him with mute secret words, a faint odour of wetted ashes.
Her glazing eyes, staring out of death, to shake and bend my soul. On me alone. The ghostcandle to light her agony. Ghostly light on the tortured face. Her hoarse loud breath rattling in horror, while all prayed on their knees. Her eyes on me to strike me down. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Ghoul! Chewer of corpses!
No, mother. Let me be and let me live.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
In un sogno, silenziosamente, era venuta a lui, il corpo consumato nel molle sudario spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l’alito, china su di lui con mute segrete parole, un lieve odore di ceneri bagnate.
I suoi occhi invetrati, fissi da oltre la morte, per scuotere e piegare la mia anima. Su me solo. La candela fantasma a illuminare la sua agonia. Luce spettrale sul viso tormentato. Il forte respiro rauco rantolante d’orrore, mentre tutti pregavano in ginocchio. I suoi occhi su di me per abbattermi. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Lemure! Masticatore di cadaveri!
No, mamma! Lasciami stare e lasciami vivere.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
Gli era giunta in sogno, silenziosa, il corpo magro e spossato nell’ampia veste funebre esalava un odore di cera e legno di rosa, il respiro si chinava su di lui con parole mute e segrete, un odore lieve di ceneri bagnate.
I suoi occhi di vetro a scrutare dalla morte, per scuotere e piegare la mia anima. Su di me solo. La candela spettrale a illuminarne l’agonia. Luce spettrale sul viso tormentato. Il respiro rauco e forte rantolante nell’orrore, e tutti pregavano in ginocchio. I suoi occhi su di me per farmi crollare. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Demone! Masticacadaveri.
No, madre. Lasciami stare e lasciami vivere.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
In sogno, silenziosa, era venuta a lui, il corpo consunto nel fluttuante sudario, esalando un odor di cera e legno di rosa; e l’alito mentre era china su di lui, con mute parole segrete, un fievole sentore di ceneri bagnate.
Lei e i suoi occhi vitrei, che mi lanciavano sguardi dalla morte, per scuotermi e piegare la mia anima. Puntati solo su di me. Quello spettro di candela a far luce sulla sua agonia. Luce spettrale sul viso torturato. L’ultimo suo respiro rauco e rumoroso e rantolante nell’orrore, mentre tutti pregavano in ginocchio. Lei e quei suoi occhi puntati su di me, per farmi crollare a terra. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: iubilantium te virginum chorus excipiat.
Vampiro! Masticator di cadaveri!
No madre. Lasciami andare e lasciami vivere.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano ho citato due passi dal primo atto dell'Amleto di Shakespeare che riporto di seguito con le traduzioni di Goffredo Raponi.
Nella scena IV, il fantasma del padre avvicina Amleto per parlargli:
(Ghost beckons Hamlet)
HORATIO:
It beckons you to go away with it,
As if it some impartment did desire
To you alone.
(Lo spettro fa cenno ad Amleto di avvicinarsi
a lui)
ORAZIO: Ecco, vi accenna d’andar con lui,
come a volervi parlare da solo.
Nella scena V, il proposito di Amleto dopo che il fantasma del padre si è congedato da lui:
Now to my word;
It is 'Adieu, adieu! remember me.'
I have sworn 't.
D’ora innanzi la mia parola d’ordine
sia questa: “Addio, ricordati di me!”
L’ho giurato.

venerdì 8 novembre 2019

#17 La canzone di Fergus

W.B. Yeats (P. MacDonald 1933)
Con il ricordo della Canzone di Fergus, nella mente di Dedalus tornano ossessioni e paure, esposti con la musicalità metrica della poesia di Yeats e con quella ciclica del mare sulla costa dublinese.

Per guardare questo video su youtube, clicca qui sotto:
https://youtu.be/54_gSX8R_Ao

Ecco il testo in lingua originale del brano citato dall'Ulysses in questo video:
—Don’t mope over it all day, he said. I’m inconsequent. Give up the moody brooding.
His head vanished but the drone of his descending voice boomed out of the stairhead:

And no more turn aside and brood
Upon love’s bitter mystery
For Fergus rules the brazen cars.

Woodshadows floated silently by through the morning peace from the stairhead seaward where he gazed. Inshore and farther out the mirror of water whitened, spurned by lightshod hurrying feet. White breast of the dim sea. The twining stresses, two by two. A hand plucking the harpstrings merging their twining chords. Wavewhite wedded words shimmering on the dim tide.
A cloud began to cover the sun slowly, wholly, shadowing the bay in deeper green. It lay behind him, a bowl of bitter waters. Fergus’ song: I sang it alone in the house, holding down the long dark chords. Her door was open: she wanted to hear my music. Silent with awe and pity I went to her bedside. She was crying in her wretched bed. For those words, Stephen: love’s bitter mystery.
(James Joyce 1922)
La lettura del brano originale è ad opera di Frank Delaney e tratta dal podcast ReJoyce:
https://blog.frankdelaney.com/re-joyce/

Ecco i testi delle traduzioni in italiano dall'Ulisse lette e citate in questo video:
– Non mugugnarci sopra tutto il giorno, disse. Io parlo a vanvera. Desisti da codeste ruminazioni.
La testa scomparve ma il bombito della sua voce discendente emergeva rombando dalla cima delle scale:
– Non appartarti più per ruminare
Sull’amaro mistero dell’amore
Poi che Fergus governa i bronzei cocchi.
Ombre silvane attraversavano fluttuando silenziose la pace mattutina dalla cima della scala verso il mare dove egli teneva fisso lo sguardo. Sulla spiaggia e più al largo biancheggiava lo specchio d’acqua sommosso da piedi frettolosi dai leggeri calzari. Bianco seno di fosco mare. Vocaboli paralleli, a due a due. Mano che pizzica le corde dell’arpa, congiungendo gli accordi paralleli. Biancondose appaiate parole baluginanti sulla fosca marea.
Una nuvola cominciò a coprire lentamente, completamente, il sole, ombreggiando la baia di verde più fondo. Era alle sue spalle, bacino d’amare acque. La canzone di Fergus: la cantavo da solo in casa, tenendo in sordina i lunghi cupi accordi. La porta della sua camera era aperta: lei voleva sentire la mia musica. Silenzioso di sgomento e pietà mi avvicinai al suo capezzale. Piangeva nel suo letto sciagurato. Per quelle parole, Stephen: l’amaro mistero dell’amore.
(Giulio De Angelis, 1960, Mondadori)
– Non starci a rimuginare tutto il giorno, disse. Sono incoerente, io. Piantala con quest’umore così pensieroso.
Il capo scomparve, ma il tono basso e persistente della voce discendente continuò a rombare dalla scala:

E non voltarti più per meditare
Al mistero amaro dell’amore
Ché Fergus governa i carri di bronzo.

Ombre di bosco fluttuavano accanto silenziose attraverso la pace del mattino, dalla scala fino al mare dove egli guardava. Verso la riva e più a largo si schiariva lo specchio del mare, scalciato da piedi veloci calzati leggeri. Seno bianco del mare velato. Gli accenti intrecciati, a due a due. Una mano che tocca le corde dell’arpa fondendo armonie intrecciate. Parole coniugate come onde bianche scintillanti sulla marea velata.
Una nube iniziò a coprire lentamente il sole, adombrando la baia d’un verde più scuro. Giaceva dietro di lui, ciotola d’acque amare. La canzone di Fergus: la cantavo a casa da solo, soffermandomi sui lunghi accordi oscuri. La sua porta era aperta: voleva sentire la mia musica. In silenzio tra timore e pietà andai al suo capezzale. Piangeva in quel letto squallido. Per le parole, Stephen: il mistero amaro dell’amore.
(Enrico Terrinoni, 2012, Newton Compton)
– Non mugugnarci sopra per tutto il giorno, disse. Io parlo a vanvera. Dàcci un taglio con queste ruminazioni musonesche.
La testa sparí, ma il ronzio della sua voce lontanante in basso risuonò dal caposcala:
E mai piú appartato a rodersi
Sull’amaro mistero dell’amore
Fergus guida i bronzei cocchi.
Ombre silvestri silenziose sciamavano nella quiete mattinale fuor dal caposcala e verso il mare dove puntava gli occhi. Nel litoraneo spazio e piú fuori al largo, biancheggiava lo specchio d’acqua smosso da frettolosi piedi in calzari leggeri. Biànco sèno del fòsco màre. Accenti allacciati due per due. Una mano sfiora le corde d’arpa e va armonizzando accordi paralleli. Albugine di flutti in favellar di frasi che baluginano sulla scura marea.
Una nuvola prese a coprire lentamente il sole, ombreggiando la baia in un verde piú fondo. Alle sue spalle c’era una conca d’acque amare. La canzone di Fergus. La cantavo da solo a casa, tenendo in sordina quegli accordi cosí lunghi e cupi. La porta della sua camera era aperta, lei voleva sentire la musica. Muto d’impaccio e di compassione, sono andato verso il suo capezzale. Lei piangeva nel letto di disgrazia. Per quelle parole, Stephen, per quelle parole, l’amaro mistero dell’amore.
(Gianni Celati, 2013, Einaudi)
Nel brano si cita la "Canzone di Fergus", dalla poesia "Who goes with Fergus?" tratta dalla raccolta "The rose" del 1983 di William Butler Yeats:
Who will go drive with Fergus now,
And pierce the deep wood's woven shade,
And dance upon the level shore?
Young man, lift up your russet brow,
And lift your tender eyelids, maid,
And brood on hopes and fear no more. 
And no more turn aside and brood
Upon love's bitter mystery;
For Fergus rules the brazen cars,
And rules the shadows of the wood,
And the white breast of the dim sea
And all dishevelled wandering stars.
Chi andrà sul carro con Fergus,
Penetrando ora nell'ombra intessuta del profondo bosco
E danzerà lungo la riva piatta?
Giovane, solleva la tua fronte color ruggine,
Solleva le tue tenere palpebre, fanciulla,
Cova le tue speranze e non temere più.
E non distrarti più, più non pensare
Con ansia a quest'amaro mistero dell'amore
Perché Fergus domina i bronzei carri,
così come domina l'ombre della foresta
E il seno bianco dell'oscuro mare,
Le stelle scarmigliate e vagabonde.
Sempre dalla stessa raccolta di Yeats ho citato alcuni versi dalla poesia "To ireland in the Coming Times" (trad. Sanesi)
When Time began to rant and rage
The measure of her flying feet
Made Ireland's heart begin to beat;
Quando il Tempo iniziò a declamare
E ad infuriarsi, il ritmo del suo rapido
Piede risvegliò i palpiti del cuore dell'Irlanda;
Dal secondo libro dell'Odissea di Omero, ho citato questi versi di Antinoo in risposta a Telemaco (trad. Pindemonte):
O molto in arringar , ma forte poco
Nel dominar te stesso , ogni rancore
Scaccia dal petto, e, qual solevi, adopra
Da prode il dente, e i colmi nappi asciuga.
Inoltre ecco le citazioni dalla seconda scena dell'Amleto di William Shakespeare (trad. Raponi):
QUEEN GERTRUDE
Good Hamlet, cast thy nighted colour off,
 [Amleto, caro, togliti di dosso quel colore notturno,]
(...)
KING CLAUDIUS
We pray you, throw to earth
This unprevailing woe,
[Ti preghiamo perciò di gettar via questo tuo vano ed infruttuoso affanno,]
 Infine al seguente link potrete trovare lo spartito della Canzone di Fergus messa in musica da Hugo Kauder:
http://www.hugokauder.org/uploads/Two%20Song%20-%20Poems%20by%20Yeats.pdf